Ethan Johns
If Not Now Then When?
[Three Crows Records
2013]

www.ethanjohns.com


File Under: producer's songwriting dream

di Marco Restelli (04/04/2013)

Non deve essere stato facile per un produttore/musicista navigato, ancorché giovane come Ethan Johns, affrontare per la prima volta il pubblico direttamente con "la propria faccia". Già la copertina del suo album d'esordio (dall'emblematico titolo If Not Now Then When?, che ben descrive l'urgenza espressiva del momento), mostrando l'artista su un palco che sbircia al di là delle tende che lo separano dalla platea, evidenzia una sua particolare curiosità su come potrebbe essere accolto. E, come in una sorta di specchio, direi che pari curiosità l'ho provata subito anche io sin da quando ne fu annunciata l'uscita, avendo come immagine quella di un bravo pasticciere che, dopo aver lavorato a lungo per conto terzi ed aver realizzato torte di altissima qualità (un paio, su tutte, Rainy Day Music dei Jayhawks e Gossip in the Grain di Ray la Montagne), ha finalmente deciso di aprire un piccolo punto vendita tutto suo, invitando tutti a provare i suoi dolci appena sfornati. E ciò che ai palati più fini non passerà verosimilmente inosservato è innanzitutto la varietà di pasticcini che Johns mette sul vassoio, non limitandosi certo ad un solo stile o a pochi strumenti tipici del genere che certamente conosce a menadito come il folk/americana, ma spaziando su tutto "l'arco costituzionale" che passa attraverso il blues, il sound west coast e compagnia bella.

Venendo finalmente ai contenuti, l'album si apre con la splendida stripped down ballad Hello Sunshine che almeno per temi, semplicità e dolcezza richiama quella Goodbye Cruel World di Pink Floydiana memoria, lasciando parimenti tutti disarmati e rappresentando così il miglior incentivo all'ulteriore assaggio (pardon, ascolto). Morning Blues nel suo didascalico rigore di stile sembra quanto mai scontata, ma poi esplode in un assolo di chitarre distorte che la rendono meglio della glassa al cioccolato fondente, proprio come la tranquilla Eden (inizialmente piano e voce poi arricchita di chitarre) evocando il Tom Petty più introverso fa letteralmente leccare i baffi, mentre la chitarra harrisoniana ingannerebbe molti a pensare ad un outtake dei Traveling Wilburys. La crema di Red Rooster Blue è fatta di una melodia radiofonica e accattivante, condita con arrangiamenti vintage a base di organo, proprio come quella di Don't Reach Too Far che tende piuttosto ad un rock corale sbarazzino, in un vortice di armoniche degne di nota. In Whip Poor Will, lenta ballata folk con tanto di pedal steel, ci imbattiamo in due artisti di talento a lui più vicini come Ryan Adams (di cui produsse "29") e Laura Marling (il suo nuovo album vede Ethan alla consolle), ma nell'economia del disco potrebbe risultare fra le meno rilevanti.

Il succitato approccio west coast lo troviamo invece in Willow con tanto di coretti e fischi sullo sfondo e, a mio avviso, il pezzo suona ben riuscito e tutto fuorché forzato ed artificiale. Chiude il disco con The Long Way Round, quasi un piacevole omaggio alla Can't Find My Way Home dei Blind Faith presentata come un brano live nel quale, alla fine, il pubblico applaude generosamente e con cognizione di causa. Questo fa pensare che la risposta ai legittimi dubbi iniziali del "solito produttore che si butta nell'arena" evidentemente Johns se l'è data da solo e posso assicurarvi che in questo caso il nostro pasticciere ha tutte le ragioni per pensarla proprio come farebbe l'oste riguardo al proprio vino.


      


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