Kevn Kinney
A Good Country Mile
[
Almost Loaded/Redeye  
2012]

www.kevnkinney.com


File Under: singer/songwriter, roots rock

di Yuri Susanna (23/04/2012)

Veri local heroes della scena alternativa della Georgia a cavallo tra gli '80 e i '90 (è vero, in quegli anni c'erano in giro gli R.E.M., ma hanno spiccato il volo troppo presto dalle cantine di Athens, per essere confinati alla dimensione di eroi "locali") i Drivin'-N-Cryin' sono un enigma irrisolto nella vicenda sotterranea del rock americano di provincia. Hanno cambiato pelle molte volte, spesso in ritardo sui tempi, senza riuscire a lasciare il segno come avrebbero potuto sul corso degli eventi. Meno erratica appare invece la strada parallela - inaugurata presto, nel 1990, con un gioiellino folk intitolato MacDougal Blues - percorsa dal leader Kevn Kinney. Un itinerario che si è mantenuto sostanzialmente devoto a un'idea di folksinger vecchia scuola, con qualche apertura a linguaggi appena più eclettici (l'album Sun Tangled Angel Revival, ad esempio). La reunion del gruppo, nel 2009, ha rinvigorito anche la carriera solista di Kinney, che non pubblicava un album nel suo paese dal 2004 (Comin' Around Again del 2006 è uscito solo in Europa) e mette a segno con A Good Country Mile uno dei suoi colpi migliori.

Il disco è una sorta di quadratura del cerchio, che sposa l'attitudine alla ballata folk di Kinney con la voglia di alzare il volume e inseguire un riff di chitarra che ha segnato il linguaggio della sua vecchia band. Riuscendo anche a ottenere una compattezza e una densità sonora che nei dischi dei Drivin'-N-Cryin' sono spesso mancate. Il credito va spartito con la band che l'accompagna - una versione aggiornata dei Golden Palominos, diretti da un altro sopravvissuto degli "altri" anni '80, Anton Fier: il batterista, che ha prodotto anche il disco del come back dei Drivin'-N-Cryin' di due anni fa, ha chiuso Kinney in uno studio-cantina a New York e ha lasciato che la band seguisse l'estro del momento, che le canzoni si dilatassero e si plasmassero fino a prendere la forma di blues-rock elettroacustici (l'assalto di Gotta Move On, il riff ficcante di Wild Dog Moon pt. 2), jam country-rock dai profumi cosmici (A Good Country Mile), spirali psichedeliche (le cadenze acide di Hurricane, il mantra di Bird, l'avvolgente In the Land of Things that Used to Be), sfiorando in un paio di episodi i 10 minuti di durata, ma senza autoindulgenze onanistiche.

La polvere del tempo ha reso più espressiva la voce di Kinney, che ci guida in una specie di viaggio nel Sud degli Stati Uniti, un omaggio ai luoghi delle sue radici, "just outside of heaven/about a good country mile". Lungo il cammino trovano posto anche relitti del passato (riprese di vecchi brani del suo songbook) e, ad aprire e chiudere il disco, due cover di eterogenea origine, ma accomunate da uno scoperto spirito "sudista": Never Gonna Change di Jason Isbell (stava su Dirty South dei Drive-by Truckers) e Southwestern State dei Seven Mary Three (dimenticato gruppo grunge della seconda ondata, tuttora in attività: la versione di Kinney riesce con agio a migliorare la materia prima). "Volevamo realizzare un disco che avesse il feeling - scioltezza, innocenza, spontaneità - di alcuni dei dischi di fine anni '60/primi anni '70 che ci hanno stregato: The James Gang Rides Again, River di Terry Reid, First Step dei Faces, Minnows di Marc Benno". Sono parole di Fier: con questi obiettivi, difficile fallire il bersaglio.

    


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