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emo-folk (?) di
Fabio Cerbone (30/04/2013)
La febbre dei giovani pionieri non tende a placarsi: come personaggi di un film
storico sulla guerra civile americana, sbucati chissà come da un set inedito
di Cold Mountain o giù di lì, The Last Bison imboccano a velocità
sostenuta la rampa del "nuovo folk", fenomeno ormai di dimensioni mainstream,
eppure complesso che unisce l'esigenza, fra le ultime generazioni, di un ritorno
verso il senso profondo delle tradizione e al tempo stesso uno studiato atteggiamento
visivo e sonoro, che si accoda al successo dei Mumford & Sons. Nulla di male perché,
parliamoci chiaro, la popular music è anche, forse soprattutto, fenomeno di costume
e insieme di identità riconoscibili. Ecco allora la famiglia Hardesty da Chesapeake,
Virginia, capeggiata dalla voce di Ben: sette elementi che includono fratelli,
sorelle e amici dei tempi del college, un ensemble che traghetta le radici rurali
acquisite nella fattoria di famiglia (e la prima chitarra regalata a Ben dal padre),
per approdare al sofisticato folk cameristico che inebria questi dodici episodi
di Inheritance.
Di mezzo ci si è messa la costola sudista
della Universal Republic, major che ha ripescato The Last Bison dalla loro precedente
avventura (il debutto Quill, pubblicato semplicemente a nome Bison nel 2011, quindi
un ep di quattro brani per saggiare il terreno, pochi mesi orsono), combinando
nuove e vecchie composizioni. Da qui al fiorire dei paragoni con Fleet Foxes e
i citati Mumford & Sons tutto è stato veloce e inevitabile: dei primi echeggiano
vagamente l'uso delle voci celestiali e il falsetto di Ben Hardesty, che
in verità sembra avere più punti di contatto con certa emotività indie pop (un
brano come Distance, avesse le chitarre elettriche
al posto dei violini, potrebbe accostarli agli Arcade Fire), a cominciare dal
breve schizzo introduttivo della title track; dei secondi invece le accelerazioni
roots e quel melodramma un po' impostato che inonda brani quali Quill
e il primo singolo Switzerland.
La
presenza centrale degli archi di Teresa Totheroh (violino) e Amos Housworth (violoncello)
rende peraltro la musica dei Last Bison assai più articolata rispetto alla fortunata
band inglese, a cominciare dalla tensione di Dark Am
I, sorta di spartiacque che dischiude il disco alle sciccherie di Tired
Hands, all'eleganza artefatta di Take all the Time
e Autumn Snow, infine ai contrappunti di Watches
and Chain. Sono composizioni queste ultime che uniscono l'impulsività
schietta del folk e la complessità dell'educazione classica dei musicisti, ma
al fondo comunicano una studiata maniera, francamente anche noiosa (Sandstone).
Questa è semplicemente l'ennesima variante indie folk, e neppure così originale
nelle tematiche, camuffata però con talento (innegabile) sotto le mentite spoglie
di abbigliati padri pellegrini. La sostanza tuttavia non cambia: dietro la stucchevole
drammaticità dell'interpetazione di Ben Hardestry ci saranno anche melodie interessanti,
ma nell'insieme la musica di Inheritance si ferma sempre un passo prima della
sincerità e ne compie uno troppo oltre verso l'enfasi.