The Mavericks
In Time
[Decca/Big Machine
2013]

www.themavericksband.com


File Under: Latino Americana

di Fabio Cerbone (14/03/2013)

"Musica per tutte le occasioni" dichiaravano un tempo i Mavericks, dal titolo di un loro fortunato album del 1995. Mai affermazione fu più vera per descrivere il mondo musicale attorno a Raul Malo e soci, detentori di una malizia che attraversa cinquant'anni e passa di pop americano, infilandoci il country rock, le radici latine e gli aromi tex mex, l'easy listening più professionale e un clima danzereccio che li ha sempre portati fuori dalle strette sacche dell'industria nashvilliana da cui partirono più di vent'anni fa. Dopo un decennio "tribolato" e in discesa di consensi, con qualche tentativo poco riuscito di rientrare in pista (un disco in studio sotto le aspettative, un discreto live, qualche reunion e cambi di formazione, con l'arrivo tra gli altri delle chitarre di Eddie Perez), Malo ritorna al vecchio amore e accantona una pur redditizia carriera solista, cercando nelle trame del nuovo In Time di celebrare costantemente il passato, scorrendo in rassegna i punti forti dello stile Mavericks.

Una marea di ospiti, la co-produzione di una vecchia volpe come Niko Bolas, una sventagliata di fiati, coretti e melodie sixties, chitarre twangy, passi cubani e il gioco è fatto: musica per tutte le occasioni, proprio così. Non c'è da fargliene un torto, anche se Back in Your Arms Again accende i riflettori della festa con uno shuffle dalle movenze latine che pare una fotocopia del fortunato singolo Dance the Night Away da Trampoline (ed eravamo nel 1998…). I Mavericks vanno a colpo sicuro e tornano a suonare, con una certa frizzante ispirazione non c'è che dire, ciò che conoscono a menadito: l'organetto al galoppo di Lies, il trasparente pop di Born to Be Blue e l'eco insistente di Cuba in Come Unto Me (anche in versione spanish nel finale), il guancia a guancia romantico di In Another's Arms e Forgive Me, la festa mariachi dei fiati in All Over Again, i carabi di Dance in the Moonlight. E avanti così: i fantasmi di Re Elvis e Roy Orbison non mancano mai, anche i tramonti latino-americani scorti dalla Florida fra tango e bolero (l'andatura travolgente e drammatica di (Call Me) When You Get to Heaven, tour de force per la vocalità espolsiva di Malo e forse uno dei vertici del disco), l'innocenza del primo rock'n'roll in As Long as There's Loving Tonight, un pizzico di Everly brothers nell'ordito di Amsterdam Moon.

L'entusiasmo che ha accolto questo ritorno, soprattutto presso la stampa americana, è senza dubbio la prova di una ritrovata efficacia musicale: The Mavericks sprizzano verve e scaltrezza da veterani, ma quanto siano anche qualcosa di più di un semplice, gradevole jukebox del tempo (e raramente "In Tempo" come dicono loro) è partita sempre aperta. Resta insomma quel dato di fondo che non vorrei rovinasse la festa agli estimatori. Cosciente dunque di parlare in minoranza, provo soltanto ad offrire un altro punto di vista, fatene buon uso se credete: questa musica è pura estetica e piacevole intrattenimento, magari di classe sopraffina (perché non c'è un suono che non sia caldo e brillante per tutto il disco), ma non ti rimane addosso niente che non sia uno spensierato sottofondo.


    


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