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vorrei la pelle nera di
Nicola Gervasini (22/04/2013)
Di come JJ Grey e i suoi Mofro siano destinati a rimanere una cult-band
per appassionati abbiamo già discusso in occasione del devastante live Brighter
Days del 2011. Restava però da sciogliere il dubbio su quanto la loro
formula, fatta di roots-rock da jam-band post anni novanta e "quintalate" di soul
e funky music anni settanta, potesse reggere sulla distanza nei lavori in studio.
Dubbio instillato da un disco (Georgia Warhorse del 2010 ) che era parso più stanco,
più prevedibile, o semplicemente minore rispetto all'accoppiata Country Ghetto/Orange
Blossom che li aveva definitivamente lanciati nei nostri ascolti. Tanto che anche
loro si sono presi una bella pausa di tre anni prima di ripartire con un nuovo
disco, e la grande vittoria che This River ottiene fin dai primi
ascolti è proprio quella di riuscire a confermare come buona una ricetta ormai
consolidata, recuperando freschezza e capacità di azzeccare anche grandi brani.
Insomma, il primo grande merito dei JJ Grey & Mofro è stato quello
di resistere, di non farsi prendere dalla frenesia di tentare improbabili evoluzioni
verso chissà che cosa, di non aver partecipato all'80-revival imperante nel sound
di questi ultimi due anni, solamente per trovare nuovi stimoli. Hanno invece proposto
la solita minestra, solo che questa volta non sa di brodaglia riscaldata, ma è
una leccornia fresca di giornata, fin dalle note mai così black di
Your Lady, She's Lady e alle soul ballad Somebody
Else e Tame A Wild One. Difficile quindi trovare differenze
con il passato, se non forse un ulteriore passo verso la musica nera che li fa
abbracciare con convinzione ritmi puramente funky (provate a pensare a Florabama
in mano a Prince e capirete), tanto che il ritmo diventa spesso preponderante
sulla canzone (Harps & Drums è 99% groove
applicato ad un testo ridotto all'osso, come da manuale del maestro James Brown,
che un pezzo del genere lo avrebbe tirato anche per venti minuti senza problemi).
Da qui l'utilizzo sempre più invadente della sezione fiati, il non curarsi
poi troppo se certe melodie paiono già sentite in qualche disco di Solomon Burke
(This River) e l'accento posto sulle lunghe soul-ballad come la splendida
Write a Letter che rappresentano poi il punto
forte dei loro concerti. Ciò che conta è che un giro strasentito come quello che
sorregge Standing On The Edge risulta sempre
convincente se ci si mette una gran voce e una band che suona in studio con la
stessa verve dimostrata dal vivo (il finale sa di jam a briglia sciolta da chiusura
di concerto). Inutile stare troppo a sottilizzare: JJ Grey scrive buone canzoni,
canta sempre meglio con il passare del tempo e riesce a mantenere viva la vitalità
della sua band: era esattamente questo che chiedevamo a This River. Fare di più
non è mai stato compito suo.