Graham Parker & The Rumour
Three Chords Good
[
Primary Wave
2012]

www.grahamparker.net


File Under: Do you remember when we were the new boys?

di Nicola Gervasini (03/12/2012)

Non facciamo troppo gli schizzinosi, l'idea di una reunion dei Rumour ci piace e, anzi, arriva forse troppo tardi e magari sarebbe stata auspicabile già a fine anni Novanta, quando collaborando con i Figgs (che ancora oggi lo seguono comunque come gruppo spalla nella torunee) Graham Parker aveva in qualche modo ritrovato la voglia di un pub-rock più secco e stradaiolo. Nel 2012 invece il tempo è passato, le pance e i capelli bianchi sono aumentati (sorvoliamo sulla oscena copertina, ma GP ci ha abituato a simili obbrobri), ma i "ragazzi" hanno avuto voglia e energia di riprovarci a 32 anni di distanza da The Up Escalator del 1980, ultimo capitolo della storica saga. A dire il vero più o meno tutti i componenti della band hanno poi continuato a collaborare e a suonare nei dischi di Parker nel corso degli anni, ma mai tutti contemporaneamente.

Felici di quindi di ritrovare in un colpo solo le chitarre di Brinsley Schwarz e Martin Belmont, il battito di Steve Goulding, il basso di Andrew Bodnar e le tastiere nervose di Bob Andrews, ma saremmo stati ancora più felici se Three Chords Good avesse rappresentato un nuovo cambio di rotta. Invece quello che subito pare evidente è che sono davvero troppo poche le differenze in termini di sound tra questo album e tutta la produzione di Mister GP dal 1990 ad oggi, con quel sound elettro-acustico leggero e smussato che aveva già cominciato a stancare con il precedente (e debolissimo) Imaginary Television. Intendiamoci, il livello è buono e la band prova a ritrovare i ritmi di un tempo (il pub-reagge dell'inziale Snake Oil Capital Of the World, che, ahinoi, non è la nuova Hey Lord, Don't Ask Me Question) e sapori rock persi negli anni (Live In Shadows). Ma nulla qui ricorda anche solo lontanamente quel rock nervoso e adrenalinico sciorinato in album come Stick To Me e Squeezing Out The Sparks.

Siamo dunque al solito tran-tran parkeriano, sempre piacevole e lodevole quando la penna funziona (Arlington's Busy), ma anche sotto questo aspetto il nostro beniamino sembra aver perso un po' della capacità di scrivere la canzone giusta per ogni momento. Si apprezzano le sue classiche ballate (Long Emotional Ride e forse ancor di più Stop Cryin About The Rain), ma si sbadiglia anche un poco quando GP innesta il pilota automatico con brani come She Rocks Me o Old Soul. La sensazione è che se ci sono i Rumour, proprio non si sentono, se non in innocuo rock-blues come A Lie Gets Halfway 'Round the World (tour de force che finisce con un Parker con fiatone che dichiara "mi sono rotto una mano, meno male che ne ho due"), nel bar-rock di Coathangers (dove finalmente si sente un vero assolo di Schwarz) o magari nel tentativo di trovare una nuova Watch The Moon Come Down (qui si chiama The Moon Was Low). Resta la classe, la simpatia, le parole taglienti e sagaci, qualche buona canzone da aggiungere al suo songbook migliore (la title-track, la nostalgica Last Bookstore In Town) e la speranza che dal vivo sappiano tirar fuori qualcosa di meglio.


    


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