Josh Ritter
The Beast In Its Tracks
[Yep Roc/ Audioglobe
2013]

www.joshritter.com


File Under: Paul Simon's disciple

di Fabio Cerbone (11/03/2013)

Ah, ci risiamo: cari, buoni, vecchi "breakup albums". Sapete, quei dischi che ci raccontano per filo e per segno la disgregazione di un amore, di un matrimonio, in ultima analisi di un rapporto. La storia della canzone d'autore ne è piena, dai casi più clamorosi alle canzoni più nascoste. Dovremmo forse cominciare da un signore chiamato Bob Dylan per rinfrescarvi la memoria? Ecco, diciamo allora che anche il buon Josh Ritter ha messo nel carniere il suo Blood on the Tracks: con meno veemenza verbale, con uno stile più docile e melodico che gli appartiene di diritto in quanto allievo coscienzioso di Paul Simon, eppure anche il songwriter dell'Idaho lava i panni in pubblico, raccontando la fine di qualcosa dalla propsettiva però di un inizio. Non è il caso di entrare nei dettagli - il pettegolezzo non è d'altronde la ragione di interesse di questa recensione - constatiamo semmai che The Beast In Its Tracks invece di rimuginare contrariato sugli affetti distrutti e le ripicche personali, guarda il bicchiere mezzo pieno e canta di nuovi amori, nuove speranze, vaghe luci, parlando di decisioni importanti e amori perduti con una delicatezza fuori del comune.

Lo fa con l'intelligenza e la semplicità che appartengono a Josh Ritter fin dagli esordi, anche se questa volta la direzione è molto più scarna e acustica del previsto: quasi un ritorno all'educazione folk dei suoi esordi, al piccolo capolavoro Hello Starling, certamente distante dal suono più "sperimentale" del precedente So Runs the World Away, tanto quanto dalle rifrazioni pop di The Historical Conquest o Animal Years, forse il suo periodo creativo più fertile. Qui ci sono composizioni da artigiano del linguaggio folk rock (In Your Arms Awhile, con qualcosa di byrdsiano nelle trame, la dolcissima dedica Joy to You Baby), una produzione al minimo con il fido Sam Kassirer e sfumature che prediligono le attese, i sospiri, fra gli arpeggi delicati di A Certain Light e Evil Eye e una generale atmosfera degna dei migliori autori intimisti della canzone americana. La vena pop non scompare (si potrebbe partire da Hopeful), ma si fa persino più ingenua, al servizio dei versi, mai come oggi essenziali: la verbosità non è di casa in The Beast In Its Tracks, si sappia, e chi sta pensando ad un noioso atto di confessione da cantautore non ha un'idea precisa del talento di Josh Ritter nel lavorare per sottrazione, con pochi mezzi, e di riuscire comunque a suonare completamente autosufficiente.

Logico però da queste premesse non aspettarsi la versatilità e le soprese dei suoi album più colorati: la tavolozza prevede oggi sfumature più contenute e dalla disarmante verità di A New Lover alle confessioni di In Your Arms Again e The Apple Blossom Rag Josh Ritter sceglie sempre la via più diretta per esporre le parole. È lui stesso ad ammettere che buona parte di questo materiale lo ha "scarabocchiato" in fretta, lasciando vivi gli spigoli, lavorando perché tutto conservasse un senso di immediatezza, anche imprecisa. Ogni tanto gli artisti vanno assecondati e le stelle magicamente si allineano.

     


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