File Under:Americana,
country rock di
Fabio Cerbone (14/02/2013)
L'altra
metà del cielo Americana è stata parecchio affollata in questi anni, tutti volti
alla ricerca di qualche nuova voce femminile che potesse succedere, sostituire
o se non altro portare avanti la fiaccola delle varie Lucinda Williams, Nancy
Griffith, Gillian Welch e Patty Griffin, insomma di almeno due generazioni di
chanteuse folk che hanno contribuito sensibilmente a costruire le fondamenta del
genere, da prospettive diverse. Pretendenti e nomi anche importanti ne sono usciti
allo scoperto, chi da una lunga, oscura gavetta (Mary Gauthier su tutte), chi
invece da una brillante crescita artistica (Tift Merritt, ad esempio), ma un dato
è rimasto invariato: la vivacità della scena, l'abbondanza delle collaborazioni,
la sensazione di una netta prevalenza (spesso anche di ispirazione) sui colleghi
maschi.
Questione di sensibilità, forse, che tuttavia ha permesso più
volte di affiancare le due facce dell'Americana, come è capitato alla violinista
Carrie Rodriguez. Lei, di queste giovani leve, è senza dubbio una delle
più chiacchierate dalle parti di Austin e del South by Southwest, dopo una lunga
serie di pubblicazioni spalla a spalla con Chip Taylor, suo mentore e generoso
sovvenzionatore in fatto di canzoni. Logico dunque che la figura della Rodriguez
sia da tempo anche una delle più attese alla sbocciatura definitiva, operazione
purtroppo che Give Me All You Got rimanda in buona parte, pur segnalandosi
come il suo disco solista (c'erano stati anche Seven Angels on a Bicycle e She
Ain't Me ad aprirle la strada, nonché un discreto album di cover, Love and Circumstance)
più completo e appagante. Certo, i tour e le collaborazioni con Lucinda Williams,
Rickie Lee Jones, John Prine, Alejandro Escovedo o Bill Frisell (a proposito,
la produzione è qui rimessa nelle mani di Lee Townsend, spesso al timone nei dischi
del chitarrista jazz) hanno giocato un ruolo essenziale nella maggiore sicurezza
che trapela da Devil in Mind, Sad
Joy, I Cry for Love e Tragic,
brani co-firmati con l'onnipresente Chip Taylor o con Ben Kylie e che colorano
di eleganza pop e fremiti rock una scrittura tradizionalista ma mai troppo conservatrice
(la sola Lake Harriet sembra prendere la strada più polverosa dell'honky
tonk texano).
Il violino della protagonista resta, con scelta lungimirante,
una delle tante tonalità a disposizione, ma sullo sfondo, a dettare qualche cambio
di passo senza mai invadere il campo, che rimane invece quello di una voce educata
e in generale di un suono Americana che passa dalla malinconia dark di Cut
Me Now agli aromi country di Whiskey Runs
Thicker Than Blood, sempre infuso da una certa dose di classe. Tutto
contenuto però, senza particolari sussulti (anzi, con tutta la disciplinata armonia
di Get Back in Love e del finale acustico
di I Don't Mind Waiting, duetto con Luke Jacobs), che è un po' il
pregio e il difetto dell'intero Give Me All You Got, forse l'immagine stessa della
cifra stilistica di Carrie Rodriguez: preparata, intrigante a tratti, ma troppo
poco generosa però per trascinarci davvero nelle sue interpretazioni.