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country rock, red dirt di
Fabio Cerbone (13/06/2013)
Constatare la caduta libera di una band non è esattamente il migliore dei passatempi,
ma tocca farlo, soprattutto se attraverso il suo stato di salute precario si possono
azzardare alcune riflessioni più generali su un'intera scena musicale. Il fatto
poi che la Randy Rogers band capiti spesso sotto le "grinfie"
di RootsHighway non è una circostanza voluta: è semplicemente che loro ci mettono
davvero tutta la tenacia possibile per suonare peggio ad ogni uscita. Avevamo
sperato parecchio nel texano Randy Rogers e nel suo gruppo, anche perché gli esordi
e la bella conferma arrivata con Rollercoaster (ormai datato 2005) mettevano in
mostra uno dei frutti migliori del cosiddetto Red Dirt, movimento presto ripiegatosi
su insipide produzioni mainstream (destino comune ai Cross Canadian Ragweed, poi
scioltisi lungo il cammino, e in parte ai Reckless Kelly, tornati parzialmente
in carreggiata) o peggio su un rock'n'roll di grana grossa che poco aveva a che
spartire con la tradizione roots locale del Texas, specialmente quella uscita
da Austin.
La presenza oggi del prezzemolino Willie Nelson, nume
tutelare di un po' tutte queste giovani band e quasi una sorta di presenza ingombrante
(credo ormai che viva direttamente negli studi di registrazione, per quanto materiale
incida) non aggiunge molto alla debacle artistica di questi ragazzi: il duetto
in Trouble Knows My name è un galoppante e
furbetto honky tonk elettrico con armonica e spintoni vocali che sintetizza bene
l'involuzione della band, un tempo segnata da un country rock arrembante, con
il fiddle al centro delle melodie, e oggi espressione di un pop nashvilliano mascherato
da piccoli tocchi roots, giusto per mantenere una finta innocenza. Dalla produzione
di Paul Worley in Burning the Day sono passati a quella di Jay Joyce (che
aveva già fatto abbastanza disastri ultimamente con Brandi Carlile e Wallflowers),
ma l'effetto non è cambiato: tutto suona addomesticato, scaltro, a volte persino
pretenzioso come nel signolo Fuzzy, loop modernista
su una base rock fintamente psichedelica.
Goodbye
Lonely, Speak of the Devil e One More
Sad Song sono già tagliate su misura per le programmazioni radiofoniche
"adult oriented", imbarazzanti pensando alle radici del gruppo e al fatto che
Rogers agli esordi sembrava quasi un figlioccio texano di Steve Earle. Si salva
dunque qualcosa in questo mare di mediocrità? Molto poco, forse più per nostalgia
che altro: Flash Flood tiene i piedi saldi
nella tradizione ed esalta il lavoro delle voci e del fiddle, mentre Shotgun
carica il fucile con un mix robusto di Americana e sourhern rock. Si tratta comunque
di magre consolazioni: Randy Rogers dice di avere testato il materiale dal vivo
e di avere catturato l'energia nel disco in soli sette giorni di sessioni. Francamente
l'effetto non si sente proprio: Trouble, proprio così...