Todd Snider
Agnostic Hymns & Stoner Fables
[
Aimless Records
2012]

www.toddsnider.net


File Under: southern rock, songwriter

di Fabio Cerbone (08/03/2012)

Occasione più unica che rara quella vissuta dalla recente storia americana: fra nuova depressione, crisi economica, movimenti come 'Occupy Wall Street' e banchieri sotto tiro, volete forse che la penna pungente e ironica di Todd Snider non trovasse spunti per qualche requisitoria a tema country blues? Di quello sgangherato, sudista ed elettrico come piace tanto a questo storyteller di razza. Che Snider sia uno dei rari esempi di quella scrittura che un tempo fu di John Prine, Jimmy Buffett (suoi mentori non a caso), Steve Goodman e pochi altri non lo scopriamo oggi: per qualcuno è una sorta di tesoro nazionale e nel mondo Americana la sua figura, con gli alti e bassi di una carriera e di una vita che ha rischiato di deragliare definitivamente, è sostanzialmente riverita come capita di rado. Ciò non toglie che l'inclinazione a bassa fedeltà degli ultimi lavori, la verbosità di album quali Peace Queer e The Excitement Plan, lo avesse condotto in un vicolo cieco, con una musicalità southern che aveva progressivamente perso smalto in favore del puro e semplice racconto.

Agnostic Hymns & Stoner Fables è un disco che non risolve affatto il dilemma, ancora troppo raffazzonato per restituirci il rocker degli esordi (se mai tornerà un giorno, ne dubitiamo vista la piega), segnato dalla scarna produzione curata con Eric McConnell. Piace in qualche modo la vulnerabilità che Snider mette su carta ed è coraggioso sentirlo dichiarare che questo disco nasce nelle intenzioni come qualcosa di poco accomodante: voleva riflettere il suono di una "anima spezzata" e così è stato nella galleria di losers e speranze infrante di The Very Last Time e In Between Jobs, o tra i bisbigli di Precious Little Miracles. Che tutto ciò si traduca in un lavoro coerente e con una direzione precisa è tutto un altro discorso: Agnostic Hymns & Stoner Fables non è un disco "carino" nelle intenzioni dello stesso Todd Snider e questo gli fa onore, ma se l'elemento disturbante delle liriche e la spietata analisi dei perdenti è un segnale di vitalità, la musica segue sempre quel percorso un poco stralunato e inconcludente del recente passato.

Country blues zoppicanti si accavallano a secchi rock'n'roll dove una chitarra scorticata (c'è anche l'amico Jason Isbell) incrocia il violino di Amanda Shires: a volte funziona di istinto, come nell'acida New York Banker o nella dolce Brenda, dedica speciale alla coppia preferita di Todd (Jagger-Richards, che vi credevate? Chiedete allo stesso Snider le ragioni), altre diventa un ciarliero racconto (In the Beginning), un gospel acustico (la rielaborazione di West Nashville Grand Ballroom Gown a firma Jimmy Buffett, da sempre fra i prediletti di Snider) o una sorta di lamentosa murder ballad (Digger Dave's Crazy Woman Blues), lasciando spesso la sensazione di un compito non rifinito (Big Finish). La spontaneità e il disordine (pare sia stata la precisa richiesta di Snider una volta che i musicisti sono entrati in studio) hanno una loro ragion d'essere, ma ogni tanto i dischi bisognerebbe anche riuscire a metterli insieme con un minimo di criterio.


   


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