The Strypes
Snapshot
[Virgin EMI
2013]

www.thestrypes.com


File Under: teenage riot

di Fabio Cerbone (30/09/2013)

Per affondare subito il dente avvelenato, vogliamo partire dalle cover? Le avranno scelte in prima persona o qualche marpione in studio di registrazione le avrà suggerite ai ragazzi? Sapete che c'è, in fondo non importa a nessuno, perchè qui c'è del materiale da saltare letteralmnete sulla sedia. A patto di mettere da parte recriminazioni, distinguo, qualche sopracciglio alzato e affrontare l'esordio sulla distanza di questi The Strypes con l'innocenza dovuta alla loro musica: che è e resterà solo rock'n'roll, liberatorio, ingenuo e fresco, suonato e rivoltato mille volte tra accordi, riff e passaggi ritmici, eppure sempre travolgente quando affrontato con tale sfacciataggine. Quattro ragazzi di Cavan, Irlanda del Nord, età tra i 15 e i 17 anni, come a dire che c'è ancora qualche adolescente (l'anno scorso era stato il turno di Jake Bugg, ricordate?) che non perde tempo dietro la finzione di uno schermo televisivo.

Una partenza fulminante tra pub di periferia e intere collezioni di vinili saccheggiati ai genitori (sia vera o presunta, la storia funziona a meraviglia): ecco dunque una frenetica You Can't Judge a Book by the Cover (Willie Dixon attraverso Bo Diddley) a tracciare il solco, quindi una I Can Tell modulata sulla versione dei Dr. Feelgood con Wilko Johnson, il pub rock a cento all'ora di Heart of the City (Nick Lowe, e solo per questa selezione andrebbero premiati con scrosci di applausi) e il crepitio finale di Rollin' & Tumblin', galoppata a perdi fiato con un gioco di chitarre e armonica che aggiorna gli Yardbirds al 2013. La sorpresa di stampa e pubblico inglese è una volta tanto giustificata, anche se non siamo così creduloni da pensare che The Strypes siano un fenomeno di pura spontaneità: l'hype aumenta a dismisura e la benedizione di qualche stella di prima grandezza (Noel Gallagher li ha presi a cuore, Paul Weller e Jeff Beck li hanno chiamati ad paprire qualche loro concerto, Chris Difford degli Squeeze li produce) è il sigillo per lanciare la loro carriera. Recentemente sono anche volati in tour con gli Artic Monkeys, ma a parte il ritorno mediatico, tra le filosofie sonore dei due gruppi non ci sono necessariamente strette parentele.

The Strypes restano al momento fedeli ad una rivisitazione vibrante e candida della prima stagione del british rock blues, poi sfociata nel cosiddetto pub rock e nelle avvisaglie del punk: l'albero genealogico lo si può seguire con cura nei brani autografi di questi teppistelli irlandesi, dalla fregola garage di Mistery Man, What the People Don't See e What a Shame alla grassa e onnipresente armonica del vocalist Ross Farrelly in She's So Fine e Blue Collar Jane, sberle elettriche che la chitarra di Josh McClorey spara nell'etere, da qualche parte tra gli imberbi Beatles di Amburgo, i Rolling Stones degli esordi, i citati Yardbirds e una cruda punta dei primi Led Zeppelin. In quest'ultimo caso, sentite ad esempio il boogie di Angel Eyes e l'incendiaria coda, con un solo da vecchia scuola hard rock, in antitesi ad una Hometown Girls che cova una riottosa anima punk. Sono trentasei minuti in tutto (c'è anche una edizione deluxe con un paio di brani aggiunti) e tanto basta per stamparvi in faccia un gran sorriso: il rock'n'roll serve anche a questo.



   


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