Condividi
 

Willy Vlautin: fughe e motel nella notte di Portland

- speciale a cura di Donata Ricci -


Motel Life (da ADMR Rock web radio)
Clicca e ascolta il podcast della puntata speciale "WILLY VLAUTIN: fughe e motel nella notte di Portland"


“Il ristorante e sala cocktail Dutchman distava sette chilometri; l’insegna bianca e rossa al neon diceva THE DUTCHMAN’S ROOM. Attiguo al bar c’era un ristorante con le vetrate che affacciavano sulla strada. All’interno c’erano pochi anziani seduti a mangiare. Il bar si trovava alla sinistra del ristorante e non aveva finestre, solo una porta davanti e una di lato, entrambe rosse e con sopra un neon bianco con la scritta VERRANNO TEMPI MIGLIORI.”

La descrizione minuziosa dei luoghi, tipica di Willy Vlautin, si ripresenta come un marchio di fabbrica anche nel suo ultimo romanzo, La notte arriva sempre (Jimenez edizioni, 2021). I luoghi per lui respirano, possiedono personalità giuridica e, in definitiva, non sono meno importanti delle persone. Giunto alla sua età di mezzo con lo stesso sguardo pulito di quando cresceva tra i casinò di Reno, Nevada, Vlautin può ben essere considerato una personalità creativa a tutto tondo, vista la duttilità con cui si muove tra musica e scrittura. Per la precisione nasce come musicista e solo più tardi decide di cimentarsi anche con la narrativa, scoprendo peraltro di possedere le qualità per diventare quell’avvincente narratore che, nell’arco di sei romanzi finora dati alle stampe, abbiamo imparato ad apprezzare.

Maybe We Were Both Born Blue (Forse siamo entrambi nati malinconici). Così recita il titolo di una ballata di una dozzina di anni fa, che era già una sorta di manifesto programmatico della sua poetica, condivisa con la sua prima formazione ufficiale, i Richmond Fontaine da Portland, Oregon. Una band che, dalla sua costituzione nel 1994 fino al 2016, è artefice di un suono che sta tra un rock essenziale e l’alternative country, ma che apprezza in particolare sonorità desertiche, forgiate attraverso una onnipresente, languida pedal steel guitar, che diventerà la loro cifra. Un suono che si sposa armoniosamente con i testi firmati da Vlautin, a tutti gli effetti equiparabili a racconti brevi e che fin dagli esordi lasciano intravedere un futuro da scrittore. Le canzoni dei Richmond Fontaine sono le linee guida della motel life, la vita nei motel che, prima di rappresentare uno stile di vita, è una categoria esperienziale. Scriveva Raymond Carver: “C’è gente che d’estate va in vacanza; mia madre invece trasloca. Abitavamo in case d’affitto, camper, perfino in stanze di motel. Ci trasferivamo continuamente e a ogni trasloco il fardello si faceva più leggero”. Citare Carver a proposito di Vlautin è inevitabile, vista l’influenza che ha esercitato sulla sua scrittura. Lui (Vlautin) ci ha poi aggiunto una lauta dose di empatia per lo sconfitto, quel fenotipo per definire il quale si scomodano di volta in volta definizioni come loser, outsider, nonchè la più opportuna di tutte: perdente. Che poi, pensandoci bene, nemmeno quest’ultima è del tutto centrata, perché nelle storie di Vlautin (come in quelle consegnate da molti altri narratori americani) più che perdenti, si aggirano persone che fanno una gran fatica a vivere in modo decente. Il focus sta qui, non tanto sul risultato finale. Comunque sia, fa dire ad un suo personaggio una cosa del genere: “Comincio a pensare che certe persone siano semplicemente nate per affondare. Nate per fallire”.

E’ condensata tutta qui – e non è poco – la poetica di Willy Vlautin. Vicende complicate, a volte disperate, ma sempre tenacemente combattive, sospinte dal desiderio di conquistarsi condizioni di vita perlomeno accettabili. Storie ambientate in periferie metropolitane, ma più spesso in minuscoli agglomerati sperduti nel grande nulla americano. Hanno nomi evocativi: come Winnemucca, Nevada, che tra l’altro ha dato il titolo al quarto album dei Richmond Fontaine, da molti considerato il migliore della loro produzione. Uno dei brani si chiama Santiam, un altro di quei luoghi infinitesimali sparsi sul suolo americano. Ecco un’altra gradevole attitudine di questo autore: lasciar parlare l’atlante come fosse un Luigi Ghirri del calamaio. Il che equivale ad attribuire dignità contenutistica a pertinenze geografiche: un corso d’acqua secondario, un sobborgo o una small town che dir si voglia, ma anche una strada di negozi di liquori come Colfax Avenue. Pensate che meraviglia: un musicista che sente la musicalità dei nomi propri. Perchè sarebbe troppo facile ricavarla da una diluizione di slide o da un cello pizzicato. Lui invece pronuncia “San-ti-am” in uno spelling canoro che già da solo è melodia. Tuttavia la lentezza e gli arrangiamenti laconici di ballate come questa non devono farci scordare il Vlautin esploratore - soprattutto agli esordi - di percorsi musicali più loquaci e d’assalto. Non è una novità che i primi Richmond Fontaine fossero sensibili ai richiami del punk e plausibilmente anche delle band grunge di stanza a Seattle. Che poi si possono considerare vicini di casa, visto che i rispettivi stati di provenienza (Oregon e Washington) insistono entrambi nell’angolino in alto a sinistra della mappa degli Stati Uniti, ossia l’affascinante Nord-Ovest. Ipotesi avvalorata dal loro primo disco, Safety, che esce nel 1996 quando la diffusione del grunge è ancora massiccia, e per esempio dai due minuti belli tirati di Harold’s Club.

Quella dei musicisti/scrittori o, se si preferisce, scrittori/musicisti è una stimolante dimensione della creatività. Come si incontrino, convivano, si struscino questi due mezzi espressivi nello stesso artista è un campo d’indagine di sicuro interesse. Lo ha spiegato bene Marco Denti nel suo recente volume Storie sterrate, pubblicato anch’esso da Jimenez Editore. Un intero capitolo è dedicato proprio a Willy Vlautin e vi si leggono intuizioni illuminanti. Per esempio che nei libri di Vlautin ciò che è di seconda mano è nuovo, perché tutto è scardinato, rovinoso, farraginoso. Aggiungo un dettaglio curioso a proposito del nuovo romanzo: alcuni capitoli sono aperti da una sorta di refrain che riguarda il numero di tentativi che la giovane protagonista deve compiere prima che la sua macchina - una Sentra con trent’anni nei pistoni – si decida a partire. Perché sono soprattutto le vite delle persone ad essere scardinate e – come apprendiamo sempre da Storie sterrate – ci vuole un sacco di coraggio per scrivere romanzi che riguardano la gente comune.

E da qui a notare come i romanzi di Vlautin (ma non meno le canzoni) denotino una vocazione decisamente cinematografica, il passo è breve. Legittimano questa ipotesi i frequenti brani strumentali che si insinuano, come colonne sonore in miniatura, tra le canzoni. Lo conferma il fatto che due dei suoi libri siano diventati film. Dapprima, nel 2012, è toccato a Motel Life, inevitabilmente. Ne è uscito un buon film, ben diretto e ben recitato, che si attiene fedelmente alla vicenda dei due fratelli, Frank e Jerry Lee, già poco fortunati di loro, cui si sovrappone un evento drammatico e imprevisto che li costringe ad una fuga disperata da consumarsi insieme, uniti dalla consapevolezza di essere soli al mondo. Il secondo film, del 2016, è invece basato sul romanzo La ballata di Charley Thompson e questa è una storia davvero tenera. Un quindicenne, anch’egli senza famiglia e perciò costretto ad apprendere presto l’arte di arrangiarsi, si affeziona ad un vecchio cavallo zoppo e decide di salvarlo da un destino segnato, fuggendo con lui attraverso il deserto americano, in cerca di un posto che possano chiamare casa. Che poi è lo stesso concetto espresso, per esempio, in una canzone contenuta nell’album Post to wire, a riprova della naturalezza con cui Vlautin si avvale indifferentemente dei due mezzi espressivi. Ancora una volta è una coordinata geografica a regalarle il titolo, perché Willamette è un fiume dell’Oregon, nemmeno di quelli importanti essendo un umile affluente del Columbia, per di più parecchio inquinato. Coerentemente Vlautin ci scrive sopra una ballata tutt’altro che bucolica, al contrario marcatamente dark, che s’invola tuttavia in un ritornello liberatorio, di quelli che restano a lungo nelle giunzioni cerebrali.

“Di notte, sì di notte, ci sedevamo sulle rive del fiume inquinato Willamette e cercavamo, sì cercavamo, di ricostruire le nostre vite lontano da lì”. E’ ciò che canta Vlautin con una bella dose di sofferenza nell’animo. Ma anche nelle corde vocali dato che, per sua stessa ammissione, la sua voce tradisce da sempre qualche carenza. E’ anche per questa ragione che, una volta conclusasi l’avventura Richmond Fontaine, decide di inserire nella nuova formazione una vocalist femminile nella figura di Amy Boone. Amy Boone è una manna piovuta dal cielo, perchè si accolla l’intero onere del canto, permettendo a Vlautin di concentrarsi sulla chitarra e sulla composizione. Il nuovo gruppo viene battezzato The Delines e dal 2012 ad oggi rappresenta una splendida realtà, titolare di tre dischi che catturano per la loro intensità. Seguono lo stesso solco tracciato dai Richmond Fontaine, ma lo sguardo compositivo e anche la scelta degli arrangiamenti sono rasserenati e sanno di buono come una stanza di motel appena rifatta. E ciò avviene nonostante le storie restino scarnificate fino all’osso. Basterebbe infatti gettare un occhio alle copertine dei dischi, di una semplicità disarmante con i loro motel disadorni e le insegne accese come fari nella notte, per intercettare storie di vite in transito su pick-up rugginosi ed esistenze tenute insieme con lo spago.

Svolta femminile dunque con The Delines. Così come femmina è la protagonista di La notte arriva sempre. Lynette è una giovane donna che annaspa per guadagnare la superficie di un mare di guai; cerca per esempio di sopravvivere ad una madre tabagista e anaffettiva e tocca lei stessa zone oscure pur di raggranellare il gruzzolo necessario a riscattare la casa in cui abita: novanta metri quadrati anneriti dalla muffa e separati, per mezzo di un muro di cemento, dai rumori della Interstate 5, chè sempre a Portland ci troviamo. Lynette ce la mette tutta. Lynette è la controfigura dello stesso Vlautin. La conferma giunge quando, nei ringraziamenti finali (che assomigliano piuttosto a una postfazione) lo scrittore svela la sua personale battaglia: “Quando mi sono trasferito a Portland avevo ventisei anni. Dopo aver fatto il magazziniere per diverso tempo, ho lavorato per dieci anni come pittore di case e ho formato una band chiamata Richmond Fontaine. Sean Oldham, il batterista, era soprannominato HQ perché era il più sveglio e il più bravo di tutti. Lui e sua moglie erano proprietari della loro casa. Lui aveva persino un passaporto. Un giorno l’ho portato con me a vedere una casa di 45 metri quadrati mezza diroccata che era in vendita. Si trovava su una strada trafficata vicino a un minimarket ma in un bel quartiere. Gli ho detto che sognavo di comprarla e lui ha detto che sarei stato un cretino a non provarci..."

E allora, per conferire circolarità a questo scritto, è opportuno terminarlo citando un’altra canzone di The Delines, che sembra fondersi alla perfezione con il nuovo romanzo di questo esemplare musicista/scrittore o scrittore/musicista - sentitevi liberi di scegliere l’opzione che più vi aggrada - non soltanto perché in entrambi si cita la notte. In realtà in Waiting on the Blue si riferisce questa situazione: “So che la notte finirà, so che la notte finirà presto. Sono così stanco di aspettare nella malinconia. I camion della spazzatura inizieranno a sbattere e anche i furgoni per le consegne. Saranno loro che mi salveranno dal pensare a te. So che la notte finirà, sono solo così stanco. Presto gli uccelli cominceranno a cantare e le sveglie a suonare. E sarò salvato ancora una volta dalla malinconia”. Riflessione di accorata bellezza, che ci rassicura su un dubbio ancestrale: cosa succede quando la notte finisce? Succede che un’altra notte arriva sempre.



Bibliografia, dal blog di BooksHighway (a cura di Marco Denti)

La notte arriva sempre (Jimenez, 2021)
http://bookshighway.blogspot.com/2021/05/willy-vlautin.html

Motel life (Jimenez, 2020)
http://bookshighway.blogspot.com/2020/09/willy-vlautin.html

The Free (Jimenez, 2019)
http://bookshighway.blogspot.com/2019/10/willy-vlautin.html

Io sarò qualcuno (Jimenez, 2018)
http://bookshighway.blogspot.com/2018/11/willy-vlautin.html

Verso nord (Quarup, 2013)
http://bookshighway.blogspot.com/2013/12/willy-vlautin_8393.html

 


    



<Credits>