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Shortcuts #4: Alice Howe & Freebo; Barry Oreck; The Paris Rogues; David Massey
  a cura della redazione di RH


 

|| Alice Howe & Freebo ||
Live
[Know Howe Music & Bassline Music 2025]

Sulla rete: alicehowe.com

File Under: live trio

Colllaborazione artistica che ha preso forma concreta con il precedente album di studio della brava cantautrice californiana, Circumstance, l’incontro fra Alice Howe e Freebo (nome d’arte di Daniel Friedberg) prende adesso le sembianze di disco dal vivo. Inciso nel giugno del 2024 al Rainshadow Recording Studio di Port Townsend, Washington, di fronte a uno sparuto pubblico, Live propone una formula essenziale in trio con la Howe alla chitarra acustica e Freebo al basso (apprezzato turnista per anni, al fianco di Bonnie Raitt, Ringo Starr e molti altri), dalla raffinata tecnica fretless, con l’aggiunta poi della solista (anche slide) del’ottimo Jeff Fielder, elemento che colora con eleganza e tensione bluesy il repertorio. Si fa preferire Alice Howe, sia per la qualità intepretativa che per il repertorio (You’ve Been Away So Long, Somebody’s New Lover Now e Something Calls to Me dal citato Circumstance) un’Americana che si colora di piccole tensioni soul e west coast, mentre Freebo sceglie a volte un tono più ironico nelle liriche. In scaletta anche alcune cover, che denotano gusto e radici comuni dei musicisti: agile la versione di Sailin’ Shoes (Little Feat), apprezzabili A Case of You (Joni Mitchell) e Angel From Montgomery (John Prine) nel finale.


 
              


|| Barry Oreck and Friends ||
We Weere Wood
[Barry Oreck and Friends 2025]

Sulla rete: barryoreckmusic.com

File Under: country folk

 

Una sensibilità da folksinger navigato e una limpida struttura acustica accompagna questi dieci episodi firmati Barry Oreck and Friends, raccogliendo storie, come afferma l’autore stesso, che nascono da letture, amicizie e affetti, in definitva dalla prospettiva di una vita lunga e fortunata. Oreck ha soltanto quattro album alle spalle a partire dal 2016, ma una carriera ben più articolata nel mondo del teatro e della danza come coreografo. Originario di Chicago, ma da molti anni newyorkese di adozione, ha frequentato la prestigiosa Old Town School Of Folk Music della sua città natale, influenzato da personaggi come Frank Hamilton e Steve Goodman. We Were Wood è figlio di quella canzone country folk d’autore americana, con parentesi che si allargano a coloriture irish (The Crabbit Wee Tailors of Forfar) e tratti più e meno rurali (Snake Bones). Un disco semplice e solare, come annuncia il contrasto delle liriche di Just Enough Pain, qualche volta malinconico nella bella melodia della stessa We Were Wood, affidato alla nitidezza di chitarre acustiche e mandolino, un contrabbasso, un violino e poco altro, se non una bella cura dell arminie vocali. A volte può davvero bastare.


 

              



 

|| The Paris Rogues ||
Live and Learn
[The Paris Rogues 2025]

Sulla rete: parisrogues.com

File Under: americana duo

Nessun legame con la Francia, The Paris Rogues nasconde semplicemente un gioco di parole tra i due cognomi di Michael C. Parris e Peter Rogan, duo di autori e chitarristi che anima questo progetto nato durante un incontro al Mercyland Songwriters Workshop di Phil Madeira. Proprio quest’ultimo, apprezzato turnista dal lungo curriculum, insieme a Will Kimbrough e ad altri musicisti di qualità, è coinvolto nelle sessioni di Live and Learn, album d’esordio della coppia. Parris e Rogan, rispettivamente originari di Pennsylvania e North Carolina, vantano sigolarmente alcuni dischi solisti, divisi fra i loro lavori quotidiani, la famiglia e il sogno professionale della musica. Live and Learn è il tentativo di unire le forze e le diverse sensibilità di scrittura, magari per fare il salto di qualità. I dieci episodi però non spiccano per chissà quali sorprese autoriali: di tutto un po’, passando dal suono sudista e swamp della title track o di Hard Livin’ agli echi sixties di Hold the Light e persino al reggea di Another Day in Paradise, per chiudere con due episodi acustici e folkie. Il suono è competente, la qualità degli strumentisti non si discute, ma le canzoni restano schiacciate nella media di mille produzioni simili.


 
              


|| David Massey ||
Man in the Mirror
[David Massey 2025]

Sulla rete: davemasseymusic.com

File Under: folk, americana

 

Esempio di classica canzone folk d’autore, dall’impostazione prettamente acustica e con elementi che vanno a pescare nelle tradizioni country, bluegrass e persino con coloriture spanish nella strumentazione, il nuovo album di David Massey si colloca perfettamente in quello sconfinato mondo di songwriters che alimenta il sottobosco americano. In questo caso ci troviamo di fronte uno stagionato musicista, originario nell’area di Washington DC, con sei album all’attivo a partire dal suo tardivo esordio del 2004. Lui stesso si definisce troppo pigro per spostarsi oltre i confini di quell’angolo degli States, e così la sua musica riflette questa serena, a volte introspettiva calma. Man in the Mirror è un piacevole scorcio di american music, tuttavia senza troppi sussulti, da un autore che è arrivato ad incidere intorno ai quarant’anni: la solare Till The Evening Comes, la stessa title track, ispirata da una poesia di Garcia Lorca, la più vivace Fighter’s Lament o la dolce Marianne, con i suoi influssi mexican (ottima la chitarra di Jay Byrd, presente in tutti i brani) accompagnano l’ascolto senza lasciare tracce significative dietro di sé. La scelta di chiudere con l’unica cover, l’immortale Tecumseh Valley di Townes Van Zandt, complica la questione: versione, ahinoi, del tutto trascurabile.


 

info@rootshighway.it