L'idea di partenza
era quella a cui prima o poi giunge ogni rock'n'roll band che si rispetti:
catturare l'energia e il trasporto della dimensione dal vivo nelle quattro
mura di uno studio di registrazione. Ai Great Crusades deve essere
sfuggito il controllo, qualcosa ha tracimato oltre il dovuto e così Four
Thirty, disco registrato in "presa diretta" in pochissime sedute
nel settembre del 2005, ha assunto le sembianze di un rock di grana grossa,
spesso ai confini di un "metallo pesante", snaturando in parte le tonalità
bluastre e noir del loro songwriting. Andando con ordine dovremmo
ricordare come la band di Brian Krumm (voce e chitarre), Brian
Leach (chitarre), Brian Hunt (basso) e Christian Moder
(batteria) si fosse conquistata sul campo la fama di midwestern gangsters
(definizione del grande critico Greil Marcus, non si discute), quartetto
di Chicago con le lame affilate, che partito dai lidi più convezionali
del roots rock aveva costruito un personale percorso fatto di livide ballate
notturne, taglienti e scuri rock'n'roll, tenuti insieme dal collante della
voce al vetriolo di Krumm, un Tom Waits di provincia meno poeta e più
teppista. Four Thirty, delle conquiste di Welcome
to the Hiawatha Inn (2004) e Never
Go Home (2002), da noi regolarmente incensati su queste pagine,
conserva solamente la scorza più dura e l'atteggiamento più arrogante,
quello appunto di gangsters del rock'n'roll, ma perde molto di quello
charme da "rain dogs" che si erano cuciti addosso. Le chitarre coprono
tutto, il piano va in soffitta o quasi (rispunta in She Walked Alone
ed è, guarda caso, uno degli episodi più intensi), concedendo carta bianca
all'artiglieria elettrica di Hollywood Bungalow e I Got Away,
con un basso che martella hard rock ed una propensione ad alzare il tiro
delle loro radici blues (vedi la slide assassina di Porch Song
e Heathers Will Hunt You). Una scelta di campo legittima, ci mancherebbe,
ma che, specie in qualità di estimatori della prima ora, si fa fatica
a digerire, soprattutto per l'insistenza quasi maniacale con cui l'intero
disco si aggroviglia sulle stesse claustrofobiche atmosfere. Four Thirty
è una valanga hard rock in caduta libera, a pelle risulta persino trascinante
nel suo essere così sfacciato, salvo poi accorgersi della ripetizione
monilitica di certi schemi. Billy Smashes It Up, Dowtown,
Boom Boom sono granitiche sarabande di riff chitaristici che mischiano
Black Sabbath e hard blues, infilandosi in un vicolo cieco che la conclusione
parossistica di Where Atre You Now? rende esplicito: i Great Crusades
hanno mostrato ben altre doti per ridursi ad una semplice, seppur coinvolgente,
macchina da guerra rock.
(Fabio Cerbone)
www.thegreatcrusades.com
www.glitterhouse.com
|