inserito
il 02/10/2006
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![]() Ray
LaMontagne Il primo album di ogni artista
è sempre qualcosa di particolare: è il frutto di un lavoro musicale e
di songwriting durato anni, costituito da perfezionamenti continui e giunto
al culmine grazie ad arrangiamenti sperimentali e svincolati. Il secondo
disco è in genere quello più complesso, specialmente se il primo ha avuto
successo. Ma con il secondo album, in modo particolare se si è ottenuto
un contratto con una major, l'artista rischia di non aver più frecce nel
proprio arco e di assoggettarsi a vincoli temporali imposti da terzi:
cosa che porta inevitabilmente il musicista ad arrabattarsi alla meglio,
trascurando però la forma delle proprie canzoni. Ray LaMontagne si
è fatto apprezzare per un esordio esaltante, Trouble,
che ha creato intorno a sé diverse aspettative. Il suo seguito di rischiava
di essere, come è capitato ad alcuni suoi illustri colleghi, un flop tale
da precludergli ulteriori sviluppi commerciali di rilievo. Onestamente,
è forse ancora troppo presto per scorgere i frutti di Till The Sun
Turns Black, disco uscito solo a fine agosto. Certo è che questo
nuovo lavoro è a tutti gli effetti il degno seguito del precedente, sia
a livello compositivo che dal punto di vista musicale. Sarà che tutto
(o quasi) ciò che tocca Ethan Johns si trasforma in oro, ma Till
The Sun Turns Black è un album di spessore nato soprattutto dai vari stati
emotivi di Ray, riflessi in canzoni eleganti e raffinate. Ethan Johns
ha qui il compito di ricamare le tracce con arrangiamenti corposi, dove
gli archi sono un elemento primario. Till The Sun Turns Black si apre
con Be Here Now, brano costruito su di una melodia sospesa, realizzata
ai violini e al pianoforte: il pezzo ha tutta l'aria di rappresentare
una sorta di introduzione, di porta d'accesso per un disco caratterizzato
da ben altro. Passata la prima, ecco che l'album acquista spessore: Empty
ha un suono più convincente, dai modi vagamente Western, con Morricone
che fa capolino fra gli archi, la chitarra acustica e il basso. Poi è
la volta di Barfly, piccolo capolavoro di semplicità: la voce rauca
e al contempo delicata di Ray, densa di trasporto, si fa accompagnare
da un organo lontano e dai fremiti della chitarra elettrica. Three
More Days ha invece un imprinting decisamente Motown, reso con l'utilizzo
canonico di hammond e fiati: il brano, un'altra gemma, è di stampo decisamente
soul. I ritmi vivaci lasciano presto il posto alla romantica Can I
Stay, cantata lentamente e retta nuovamente dagli archi, che la convertono
in una melodiosa pop-song. You Can Bring Me Flowers è invece un
pezzo dalle tinte jazz metropolitane e ben impreziosito dai fiati, strumenti
che ritroviamo anche nella ballad Gone Away From Me, traccia velatamente
country-blues. Una chitarra classica introduce poi le malinconiche Lesson
Learned e Truly, Madly, Deeply (brano strumentale), mentre
gli archi tornano a dominare nella title-track, anch'essa traccia malinconica.
La chiusura del disco è affidata infine agli ottoni e al tamburello di
Within You, canzone che la dice lunga sulle capacità di Ray nel
comporre ed interpretare pezzi struggenti. Con Till The Sun Turns Black,
LaMontagne si dimostra nuovamente un folk-singer disposto volentieri a
scendere a patti con il soul, un artista dalle qualità cantautorali interessanti
e dotato di una malinconia interpretativa senza eguali. L'esperienza di
Ethan Johns, il suo modo di leggere il folk e la sua concezione di uno
stile Americana ad ampio respiro sono altresì elementi rilevanti. |