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The
Band of Heathens
The Band of Heathens
[Band
Of Heathens
2008]
 
A chiunque bazzichi con curiosità il rigoglioso mondo dell'Americana "Made
in Texas": sull'attenti signori, l'esordio ufficiale di studio per The
Band of Heathens è una delle migliori improvvisate nel genere, almeno
in tempi recenti; una combinazione calibratissima di freschezza e mestiere,
di suoni country rock che potremmo definire di origine controllata, vista
la provenienza da Austin. Nella capitale mondiale della roots music questi
ragazzi si sono fatti largo grazie all'ottimo riscontro dei loro show,
tanto da avere atteso il terzo disco per un vero e proprio debutto, preceduto
da un interessante Live
from Momo (2006) e seguito a ruota dal Live at Antone's della
scorsa stagione, lo stesso che li ha condotti a cogliere il titolo di
Best New band agli Austin Music Awards.
Lodi meritate lasciatemelo dire, a giudicare da questo omonimo lavoro
prodotto con il sigillo di garanzia di Ray Wylie Hubbard, che sostiene
i ragazzi portandosi in studio Gurf Morlix, Stephen Bruton, ovvero la
crema dei chitarristi texani, e fornendo egli stesso alcuni camei vocali
insieme a Patty Griffin. Risultato garantito, potete esserne certi, anche
se il merito è principalmente nelle mani di Ed Jurdi, Gordy
Quist e Colin Brooks, i tre songwriter della situazione (dalla
prima formazione è fuoriuscito Brian Keane) a cui si aggiungono il basso
di Seth Whitney e la batteria di John Chipman. Ognuno con una carriera
per conto proprio, si erano fatti notare di striscio con produzioni indipendenti,
ma è innegabile che la creazione di The Band of Heathens sia stato il
loro vero colpo di fortuna: l'incontro fra le diverse anime dei solisti
è infatti quello che rende ogni singola canzone un completamento ideale
fra southern rock, country texano, ballate dai profumi del border, dentro
un mix che mai come in questo caso potremmo definire Americana.
La nota aggiunta è la qualità degli arrangiamenti, il sound cristallino
e l'utilizzo delle voci, specialmente quelle di Jurdi, molto soul in alcuni
tratti interpretativi, e Brooks, il più "rocker" del terzetto. Inaugurazione
col botto grazie ad una Don't Call on Me che
spande profumi sudisti lontano un miglio, raddoppiata da Jackson
Station, che altro non è se non il suo risvolto acustico e
country blues, guidata da mandolino e dobro. Si cambia direzione, dritti
nelle braccia del cosiddetto suono Red Dirt, in Maple
Tears, andamento country rock da manuale, prevedibile ma ricca
di fascino, grazie anche alla seconda voce della Griffin in sottofondo.
Il disco prosegue come una vera lezione di Americana o di quello che vorremmo
sempre si intendesse con tale abusato termine: un sovrapposizione continua
di stili in cui troverete rock'n'roll stradaiolo (Heart
on My Sleeve), ballate dalla squisita e brillante trama elettro-acustica
(This I Know,
Nine Steps Down) e abbondanza di radici blues (Unsleeping
Eye, la strepitosa Cornbread,
il finale sudista con Hallelujah,
che mi ha ricordato parecchio l'esordio di Grayson Capps).
The Band of Heathens non escogitano chissà quali stratagemmi, si affidano
alla solidità del gruppo, fanno squadra e vincono la partita.
(Davide Albini)
www.bandofheathens.com
www.myspace.com/thebandofheathens
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