Esorcizzato il dolore della perdita fra i chiaroscuri del precedente Black
cadillac, per Rosanne Cash è giunto il momento di affrontare
i ricordi da un'altra angolazione: più serena, in pace con se stessa e
il proprio passato. Quest'ultimo non è mai stato meno che ingombrante
e lo conferma il fatto che su The List, titolo esplicativo
che mette a nudo gli obiettivi della protagonista, si allunghi l'ombra
del padre Johnny Cash, estensore in qualche modo di questa scaletta, indirettamente
ispiratore delle scelte della figlia. La storia l'avrete forse già sentita:
è ancora una ragazzina Rosanne quando il padre le dona una lunga lista
di canzoni da conservare e portare nel cuore. Sono l'architrave di una
tradizione, il senso di una nazione osservato attraverso le voci di autori
della folk music, sia essa country, blues, gospel, insomma quel crogiuolo
di stimoli e immaginari che hanno formato il musicista Cash. Rosanne ne
sceglie dodici e come omaggio personale all'eredità lasciata dall'uomo
in nero le incide sotto varie forme, aiutandosi con collaborazioni illustri.
Un'operazione non particolarmente originale (avevamo bisogno di un altro
disco di cover che resuscita i primordi dell'amercan music?), ma senza
dubbio nata da esigenze personali: è a suo modo una cura per l'anima anche
questo The List e non vogliamo disconoscere a Rosanne Cash l'affetto e
naturalmente la buona fede.
Poi arriva il dato strettamente musicale e qualcosa avrebbe bisogno di
un serio ripensamento: segnato nuovamente dalle cure produttive di John
Leventhal, The List riflette quel suono levigato che anche nel recente
passato ammantava il lavoro della nostra protagonista. Ma se Rules of
Travel e Black Cadillac, peraltro tra i migliori episodi della sua carrera,
funzionavano perché costruiti con materiale proprio, investire Miss
the Mississippi and You di una docile patina swing, tenere
a freno Take These Chains from My Heart
come una morbida ninna nanna o peggio trasformare la celeberrima Girl
from the North Country in una carezza un po' anonima non è
il servizio migliore che si possa rendere a questi classici.
Di per sé disco dalle sfumature persino incantevoli, The List ha il solo
difetto di perdere il cuore della tradizione e diventare un oggetto curioso
ma senza nerbo: anche i duetti non paiono risollevare l'atmosfera generale,
tra un Elvis Costello avvezzo al linguaggio country che più di
altri se la cava in Heartaches by the Number,
mentre Bruce Spingsteen e Jeff tweedy si eclissano rispettivamente
in Sea of Heartbreak e
Long Black Veil e Rufus Wainwright naufraga letteralmente con
Rosanne in una improponibile versione di Silver
Wings. La qualità strumentale, talvolta il giusto, salvano
l'intera raccolta solamente quando Rosane Cash e Leventhal si attengono
ad una forma più contenuta e decisamente folkie: nell'ottima Motherless
Children ad esempio, o ancora attraverso il finale accorato
di Bury Me Under the Weeping Willow
(Carter Family) e in una curiosa I'm Movin' On
(Hank Snow) rallentata e sensuale. Un ricordo affettuoso certamente, ma
poco incisivo. (Fabio Cerbone)