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Durand Jones
Wait Til I Get Over
[Dead Oceans/ Goodfellas 2023]

Sulla rete: durand-jones.com

File Under: new soul ambassador


di Domenico Grio (26/05/2023)

Non deve essere stato affatto semplice per Durand Jones, da Hillaryville in Louisiana, arrivare a questo album di debutto e decidere di mettere sotto i riflettori la propria omosessualità. Un musicista gay nel sud degli Stati Uniti, per di più nero, al di là di tutti i discorsi di circostanza, è uno certamente destinato a dover far fronte a parecchi problemi. Del resto, dopo una lunga carriera vissuta come frontman del gruppo soul Durand Jones & The Indications, era del tutto evidente che l’urgenza di dare alle stampe il suo progetto solista, in cantiere da quasi un decennio, nascesse dall’esigenza di imprimere una svolta al suo percorso artistico ma anche, e soprattutto, dalla sempre più pressante voglia di mettersi in gioco in prima persona, di mostrarsi “nudo” al cospetto dei propri fan.

Il singolo That Feeling (con video annesso) che ha accompagnato la presentazione di questo esordio, racconta proprio del suo amore verso un altro uomo e diventa così il manifesto del disco e il documento principe del suo coming out. E in questo senso anche la stessa copertina dell’album, che potrebbe far storcere il naso a qualcuno, è molto significativa. C’è Durand che illustra un personale concetto di “eleganza contadina” e che sembra dire, in maniera molto cruda, “questo sono io, sarò eccessivo, improbabile, inopportuno, forse sguaiato ma, vi piaccia o no, sono io”. Venendo alle canzoni, che sono poi la parte che più ci interessa, non pare ci sia nulla di davvero nuovo sotto il sole. I temi trattati, andando a scavare nei ricordi dell’autore e nei territori della sua infanzia, sono, come già accennato, il vero elemento identitario e personalizzante, il resto è un po' il riepilogo delle linee guida che da sempre ispirano la produzione musicale di Durand.

È tutto, ad ampio spettro, perfettamente conforme ai dettami del soul e del rhythm & blues, la voce è magnificamente idonea al genere, stilosa e rutilante quanto basta a non sporgersi oltre l’ampio recinto dei classici della black music. Ci prova, in verità, a mischiare un po' le carte ma non riesce proprio a lasciare sullo sfondo i numi tutelari. Brani come See It Through o Someday We’ll All Be, per esempio, propongono timidamente qualche novità ma Stevie Wonder fa buona guardia, facendo probabilmente passare come fuori luogo l’ospitata di Skypp, involontariamente soffocato dal registro di Durand e da una massiccia sessione di archi. Qualcosa di particolare, al limite, la si rintraccia in episodi ben riusciti come Letter to My 17 Year Old Self dal gusto più cantautorale e dagli arrangiamenti più ricercati, la conclusiva Secrets che propone quasi due minuti di flutti marini per darci l’arrivederci o, cambiando totalmente atmosfere, come Lord Have Mercy (altro singolo) che, sarà anche banale, ma riesce a rompere gli schemi, ad alzare piacevolmente i decibel ed a dare un senso compiuto al lavoro, non sempre sufficientemente sobrio, svolto in cabina di regia.

“Qui non c’è spazio per i non credenti”, così chiosano le note stampa che accompagnano l’album e crediamo che non ci sia nulla di più vero, laddove per “credenti” siano indicati gli aficionados e gli amanti del genere. Per gli altri, Wait Til I Get Over, che tutto è tranne che un disco non riuscito, può essere un buon modo per prendere confidenza con l’ambiente o semplicemente un buon diversivo, nella consapevolezza ovviamente che per approfondire l’argomento sarà cosa buona e giusta passare in tempi rapidi agli originali.


    


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