Colin James
Miles to Go

[True North/ Stony Plain 2018]

colinjames.com

File Under: canadian blues

di Paolo Baiotti (01/02/2019)

Con il diciannovesimo album Miles To Go, il canadese di Regina Colin James chiude in qualche modo un cerchio, tornando al blues di cui si innamorò a 16 anni assistendo ad un’esibizione dell’armonicista James Cotton al Winnipeg Folk Festival nel 1970. In quell’occasione l’artista eseguì One More Mile di Muddy Waters (con il quale collaborò a lungo), ripresa in questo album sia in versione elettrica che acustica. In realtà Colin era già tornato alle radici due anni fa con Blue Highways, un disco di covers accolto favorevolmente dal pubblico e dalla critica locale, che nelle sue intenzioni doveva essere la prima di due incisioni dedicate al blues classico.

Miles To Go è la seconda e mi sembra più focalizzata e incisiva della precedente, a tratti un po’ scolastica e priva di coraggio, mentre in questo caso il musicista aggiunge un tocco e degli arrangiamenti personali che danno vigore alle cover, scelte con attenzione, preferendo tracce meno note a brani iconici. Colin è un ottimo chitarrista, fluido e incisivo e ha una voce chiara e pulita, forse anche troppo per il blues, magari più naturale in altri ambiti più vicini al pop o allo swing, come si è visto negli anni novanta, quando ha pubblicato album di successo come Colin James And The Little Big Band nel ’93, che ha anticipato il revival dello swing (seguito nel corso degli anni da altri tre dischi dello stesso genere) o l’acustico National Steel con Colin Linden, il suo primo disco di blues. In Miles To Go è accompagnato principalmente dalla batteria di Geoff Hicks, dal basso di Steve Pelletier, dal piano di Jesse O’Brien, dall’hammond di Simon Kendall, dall’armonica di Steve Marriner e da un trio di fiati, condividendo la produzione con Dave Meszards, che ha registrato il disco a Vancouver.

Fiati in primo piano, ritmi alti e un’armonica graffiante caratterizzano l’opener One More Mile, con una chitarra aspra che contrasta la voce pulita di Colin. Still A Fool è pungente e grintosa, Dig Myself A Hole un altro up-tempo ammorbidito dai fiati, con una slide raffinata e cori anni cinquanta. Tra le cover si inseriscono due tracce autografe, il soul-blues I Will Remain che può ricordare Robert Cray e la scorrevole 40 Lights Years, un brano bluesato con un azzeccato intervento dell’armonica e una chitarra tra Chris Rea e Mark Knopfler. Nella parte centrale si susseguono il ritmato shuffle Oh Baby con il basso in primo piano, il brillante slow Black Night, un’interessante versione di Soul Of A Man, incalzante e ritmata, e un’acustica e rarefatta See That My Grave Is Kept Clean, lenta e sofferta. Lo slow Need Your Love So Bad, inciso a metà degli anni cinquanta da Little Willie John, famoso nelle versioni di Fleetwood Mac e Gary Moore, è ripreso evidenziando il dialogo tra piano e chitarra, cantato con il giusto pathos da Colin, al quale si aggiungono i fiati. Il robusto mid-tempo Tears Come Rolling Down venato di gospel e la versione acustica di One More Mile chiudono un album che cresce alla distanza e con gli ascolti.


    


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