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canadian blues
di Paolo Baiotti (01/02/2019)
Con il diciannovesimo album
Miles To Go, il canadese di Regina Colin James chiude
in qualche modo un cerchio, tornando al blues di cui si innamorò a 16
anni assistendo ad un’esibizione dell’armonicista James Cotton al Winnipeg
Folk Festival nel 1970. In quell’occasione l’artista eseguì One More
Mile di Muddy Waters (con il quale collaborò a lungo), ripresa in
questo album sia in versione elettrica che acustica. In realtà Colin era
già tornato alle radici due anni fa con Blue Highways, un disco di covers
accolto favorevolmente dal pubblico e dalla critica locale, che nelle
sue intenzioni doveva essere la prima di due incisioni dedicate al blues
classico.
Miles To Go è la seconda e mi sembra più focalizzata e incisiva della
precedente, a tratti un po’ scolastica e priva di coraggio, mentre in
questo caso il musicista aggiunge un tocco e degli arrangiamenti personali
che danno vigore alle cover, scelte con attenzione, preferendo tracce
meno note a brani iconici. Colin è un ottimo chitarrista, fluido e incisivo
e ha una voce chiara e pulita, forse anche troppo per il blues, magari
più naturale in altri ambiti più vicini al pop o allo swing, come si è
visto negli anni novanta, quando ha pubblicato album di successo come
Colin James And The Little Big Band nel ’93, che ha anticipato
il revival dello swing (seguito nel corso degli anni da altri tre dischi
dello stesso genere) o l’acustico National Steel con Colin Linden,
il suo primo disco di blues. In Miles To Go è accompagnato principalmente
dalla batteria di Geoff Hicks, dal basso di Steve Pelletier, dal piano
di Jesse O’Brien, dall’hammond di Simon Kendall, dall’armonica di Steve
Marriner e da un trio di fiati, condividendo la produzione con Dave Meszards,
che ha registrato il disco a Vancouver.
Fiati in primo piano, ritmi alti e un’armonica graffiante caratterizzano
l’opener One More Mile, con una chitarra
aspra che contrasta la voce pulita di Colin. Still A Fool è pungente
e grintosa, Dig Myself A Hole un altro up-tempo ammorbidito dai
fiati, con una slide raffinata e cori anni cinquanta. Tra le cover si
inseriscono due tracce autografe, il soul-blues I Will Remain che
può ricordare Robert Cray e la scorrevole 40
Lights Years, un brano bluesato con un azzeccato intervento
dell’armonica e una chitarra tra Chris Rea e Mark Knopfler. Nella parte
centrale si susseguono il ritmato shuffle Oh Baby con il basso
in primo piano, il brillante slow Black Night, un’interessante
versione di Soul Of A Man, incalzante
e ritmata, e un’acustica e rarefatta See That My Grave Is Kept Clean,
lenta e sofferta. Lo slow Need Your Love So Bad,
inciso a metà degli anni cinquanta da Little Willie John, famoso nelle
versioni di Fleetwood Mac e Gary Moore, è ripreso evidenziando il dialogo
tra piano e chitarra, cantato con il giusto pathos da Colin, al quale
si aggiungono i fiati. Il robusto mid-tempo Tears Come Rolling Down
venato di gospel e la versione acustica di One More Mile chiudono
un album che cresce alla distanza e con gli ascolti.