inserito 08/02/2010

Koko Taylor
What It Takes - The Chess Years
[Geffen/ Universal 2009]



Figura imprescindibile nel traghettare l'arte delle prime blues women dalla tradizione verso l'elettricità dilagante della Chicago degli anni sessanta, Koko Taylor è stata più volte insignita del titolo di "queen of the blues", non solo dalle parti della windy city. Titolo quanto mai meritato (seppure la farei personalmente gareggiare con Big Mama Thorton) per le sue devastanti doti vocali, un ringhio potente che distanccandosi sia dalla lezione propriamente gospel sia da quella soul che sarebbe seguita, la avvicinava piuttosto ai suoi contemporanei colleghi maschi, tra l'ululare di Howlin' Wolf e lo strepitare di Muddy Waters. What It Takes, mutuato dal primo fortunato singolo (I Got What It Takes) del 1964, riprende una vecchia antologia Chess e la riporta a nuova vita in una preziosa confezione deluxe con l'aggiunta di sei tracce inedite e una bella veste grafica cartonata (comprensiva di libretto con note esaustive sulle session e i musicisti coinvolti).

Cora Taylor, in arte Koko per via della sua passione smodata per il cioccolato (così narra la leggenda), muove alla volta di Chicago dalla sua natia Memphis all'alba degli anni cinquanta e qui comincia far sentire il suo shout primordiale nei club cittadini. Le sue eroine si chiamano Ma Raney, Bessie Smith, Memphis Minnie, il suo credo è quello di un blues che metta insieme la vita dura trascorsa senza la madre (morta giovanissima) e il lavoro nei campi con il padre e la sorella. C'è però una vivacità dirompente nella sua voce che la conduce verso le luci della città, il nuovo sound e quella che al tempo è la culla della rivoluzione blues, la Chess records. Da quel periodo vegono estratte queste ventiquattro tracce, che coprono otto anni dal 1964 (debutto tardivo dopo una gavetta fatta di lavori giornalieri e serate al seguito del marito) al 1972. Koko Taylor farà le valige dalla Chess ormai in declino a metà degli anni '70, con un contratto fiammante per la Alligator e una seconda parte di carriera densa di soddisfazioni personali e di notevoli successi, anche a livello internazionale.

Tuttavia il cuore più appasionato della sua produzione è racchiuso proprio in queste incisioni, che raccolgono la sua unica grande hit del tempo: una Wang Dang Doodle, già nel repertorio di Howlin' Wolf, che sarà anche l'ultimo exploit discografico di un certo rilievo per la Chess nelle classifiche di settore. Il resto non sfigura e non è affatto contorno, a cominciare dalla vibrante I Got What It Takes e passando attarverso i cambi di umore, dall'acceso blues di I'm Little Mixed Up alle fattezze r&b di Don't Mess With the Messer, della scherzosa What Came First The Egg or the Hen e dell'esplosiva Fire, palestra per la vocalità esuberante di Koko e tentativo palese di seguire l'onda nuova del soul di casa Stax che in quegli anni si imponeva a gran voce. Tutta la prima parte della scaletta è dominata dalla firma di Willie Dixon: è lui, il grande bassista e indiscusso principe degli autori alla Chess, il mentore della Taylor, che la accompagna (anche in duetti) e appronta la stellare band in studio. Non ci sono comparse: dalle chitarre di Buddy Guy e Matt Murphy all'armonica di Walter Horton si stabilisce un forte legame con la crema del coevo Chicago blues, fino a sancire questo affetto nel duetto di I Got What It Takes proposto dal vivo con Muddy Waters in persona (dal festival di Montreaux del 1972). Si tratta anche del brano che chiude la tracklist originale dell'antologia, come anticipato allargata da una selezione di sei brani di forte impronta southern soul (Blues haven e Good Advice di JB Lenoir le più curiose, insieme alla fremente Separate or Integrate).
Una doverosa ricostruzione degli esaltanti e fondamentali inizi di carriera di un'artista che ci ha purtroppo lasciato pochi mesi fa, celebrata con una sentita cerimonia funebre tenutasi proprio nella sua Chicago.
(Fabio Cerbone)

www.kokotaylor.com



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