Risale a un anno fa la pubblicazione
di questo Legacy, quarto album di Kyshona Armstrong, musicista
originaria della South Carolina e da qualche anno residente a Nashville.
L’occasione per presentarlo anche al pubblico italiano è la versione per
il mercato europeo proposta dall’etichetta olandese Must Have Music, che
recupera un’interessante operazione di carattere culturale, oltre che
un buon disco di classic soul e r&b d’annata con venature rock. Kyshona,
infatti, con una formazione universitaria e studi dedicati alla musicoterapia,
ha avviato una sorta di ricerca sulle origini della propria famiglia,
dopo avere visitato il National Museum of African American History and
Culture della capitale Washinghton DC, collaborando insieme a un esperto
genealogista, che l’ha aiutata a ricostruire il passato di cinque generazioni,
fino inevitabilmente a incrociare l’epoca della schiavitù.
Legacy nasce da questa presa di coscienza e naturalmente dalla
sensibilità della stessa Kyshona, che oltre ad avere alle spalle studi
di musica classica (oboe, in particolare) e una carriera artistica avviata
nel 2014 con l’album Go, ha lavorato per una una quindicina d’anni
con veterani, ex carcerati e giovani disagiati. La sua esperienza nel
sociale ha inevitabilmente influito non poco nell’approccio alla stesura
stessa di Legacy, nonostante il disco abbia un’impostazione molto
personale, con i continui richiami alla storia famigliare e persino la
presenza in scaletta di un vecchio nastro che riporta la voce del nonno
predicatore.
Inciso presso il Southern Grooves Studio di Memphis con il coinvolgimento
di un ottimo cast di musicisti locali e soprattutto la partecipazione
di ospiti di spessore della scena blues e soul contemporanea, tra cui
spiccano i nomi di Ruthie Foster, Keb Mo’, Odessa Settles e Brittney Spencer,
Legacy procede seguendo la scenaggiatura di un viaggio storico-musicale,
la stessa Kyshona che affronta a tu per tu la sua identità di artista
e di donna afro-americana. Le percussioni, il synth (a cura della produttrice
Rachel Moore) e le voci eteree di Elephants introducono un album
che suona classico e contemporaneo, mettendo in comunicazione tradizione
e modernità della black music: i colori più accesi di The
Echo esaltano le voci gospel (Nickie Conley, che tornerà a
farsi sentire anche in Alma Ree) trascinandoci dietro una coinvolgente
Waitin On The Lawd, spiritual blues
che echeggia lo stile della grande Mavis Staples, e la più elettrica Whispers
in the Walls, con l’ospite Ellen Angelico.
Heaven is a Beautiful Place è un altro
numero di gospel-americana degno della lezione degli Staple Singers, mentre
la drammatica Always a Daughter, solo voci e archi, chiude idealmente
la prima parte di Legacy. Un Interlude con la voce del nonno di
Kyshona fa da spartiacque, ma il seguito alterna ancora r&b e soul dalle
pulsioni rock, come accade di notare con What’s In a Name, Comin’
Out Swingin’, l’accorata Where I Started
From, con tanto di solare presenza della sezione fiati, oppure
nella funkeggiante Carolina, con la complicità della chitarra di
Keb Mo’.
Diversi brani sono co-firmati da Kyshona insieme ad altri autori, tra
i quali i colleghi Aaron Lee Tasjan, Brittney Spencer e Caroline Spence,
e in generale la natura collettiva del progetto ne accresce la qualità.
Pur restando fedele ai tratti distintivi della black music della grande
tradizione di Memphis e del sud, Legacy offre, coerentemente con
il titolo stesso, un’eredità non solo da preservare ma che intende arrivare
alle nuove generazioni.