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Bettye LaVette
LaVette!
[Jay Vee 2023]

Sulla rete: bettyelavette.com

File Under: Bettye & Randall


di Gianni Del Savio (17/07/2023)

Questa grande artista - nata Betty Haskin a Muskegon, Michigan, nel 1946 -, ha una carriera che, con qualche similitudine espressiva e di longevità con Mavis Staples, regge splendidamente il passare del tempo: l’hanno mostrato i suoi album degli ultimi anni, pur con qualche forzatura qua e là, “istigata” da arrangiamenti spigolosi. Un breve ripasso biografico ci riporta agli esordi dei primi Sessanta, con segni di classe interpretativa che passano dal discreto hit r&b, My Man - He’s a Lovin’ Man (’62), e dal graffiante Let Me Down Easy di tre anni dopo. Forte di personale abrasività vocale e di forte presenza scenica, Bettye LaVette si è fatta man mano rispettare, mostrando qualità anche comunicative rilevanti, pur senza ottenere il successo di altri contemporanei.

Da diversi anni ha comunque allargato l’arco degli estimatori, anche fuori dall’ambito strettamente black, affrontando repertori di vario genere; non ultimo Things Have Changed (2018) dove si misurava con le scritture di Dylan, con buoni risultati. Ora ritorna in gran forma - energia che sprizza anche dalla bella, dinamica foto di copertina -, con l’aiuto di un produttore e boss dell’etichetta quale Steve Jordan (il richiamo è alla storica Vee Jay?), e col supporto di ottimi musicisti di session quali Larry Campbell e Chris Bruce (chitarre), Pino Palladino (basso), Leon Pendarvis (tastiere). Qualche ospite di rilievo in solchi diversi: Stevie Winwood, Ray Parker Jr, John Mayer e il Rev. C. Hodges. Il repertorio è affidato alle composizioni del multistrumentista e autore Randall Bramblett (ultrasettantenne georgiano, USA), di vasta esperienza e collaborazione in ambiti stilistici diversi (tra cui Sea Level, Allman Brothers e Traffic), anche di “ispirazione black”. Di lui Bettye ne esprime la stima e, a giudicare dai risultati, con ragione.

Si parte con un paio di brani di buona struttura, tra cui Don’t Get Me Started, mid-tempo che si avvale anche dell’apporto di Winwood. Già qualche brivido soul solletica udito e feeling. Ma il tutto comincia veramente a graffiare – voce inconfondibile, o comunque, come detto, dalle coloriture affini a quelle della grandissima Staples -, con Lazy (And I Know It), slow che sa di blues con sfumature reggae che ne mettono in bella evidenza i colori vocali. E – dopo aver assegnato un “niente male” ad un paio di brani quali il mid-tempo Sooner or Later e il “country-soul” In the Meantime -, il resto dell’album si propone con livelli interpretativi degni delle sue più belle performance: accattivante, comunicativa, sensuale, graffiante fino ad essere “provocatoria”.

Plan B ha una solida struttura r&b e un testo fortemente auto-affermativo (“...posso sembrare folle, ma non ho un piano B...”), ed è il primo singolo ricavato dall’album.. A seguire, il delicato Concrete Mind, slow melodico-meditativo, quasi “recitato”: uno dei gioielli dell’album, insieme al country-soul I’m Not Gonna Waste My Love, con un passo lieve di stampo wee wee hours di carattere intimo-confidenziale. Mess About it è un funky - che sarebbe sarebbe piaciuto a James Brown e suoi “seguaci” -, dai tratti ritmici pungenti, che ben si riversano nel più “frenetico” Hard to Be a Human. Intimità blues-soul nel successivo I’m Not Gonna Waste My Love, dichiarazione sottolineata da coloriture quasi hawaiane della chitarra e canto fortemente espressivo. Chiusura in grande spolvero (così si dice e suona divertente...). Con i suoi 6’55”, It’s Alright è il più lungo dei brani e potrebbe durare il doppio per l’ispirazione che offre: un’irresistibile miscela slow di soul e gospel, con qualche sussurro, sfumature chitarristiche country e un soffice e accattivante coro. Un gioiellino quest’ultimo, che guadagna alla grande artista il punto esclamativo.



    


<Credits>