Lonesome Shack
The Switcher

[Organic Records 2015]

File Under: boogie chillen blues

www.lonesomeshack.com

di Pie Cantoni (29/07/2016)

La provincia americana è sempre stata prodiga di musica, movimenti, fenomeni internazionali, da Lubbock a Tupelo, da Indianola a Duluth. Seattle è una città di provincia, piovosa e grigia, ma quando si parla di musica non è seconda a nessuno. Dal protopunk dei Sonics, al maestro della Stratocaster, Jimi Hendrix, dal grunge dei Nirvana al rock venato di 70s dei Band of Horses. Anche i Lonesome Shack arrivano da Seattle, e si tratta di un trio formato da Ben Todd (originario però del New Mexico) chitarra e voce, Kristian Garrard alla batteria e Luke Bergman al basso. I primi due dischi sono stati registrati come duo mentre Bergman è entrato a far parte del combo nel 2011. The Switcher è il quinto capitolo della saga, fatta di blues primitivo, boogie, ritmi ossessivi e tribali. E' proprio questo il filo conduttore di tutto il disco, un blues duro, ipnotico a metà fra John Lee Hooker e Otis Taylor, con qualche sprazzo più godereccio alla RL Burnside e vaghi richiami ai Canned Heat e al blues africano di Otha Turner. Un disco (e un genere, verrebbe da dire) tenuto insieme dal groove, dal ritmo martellante che, quasi si trattasse proprio di musica primitiva, è elemento fondante ancor prima della melodia. Quattordici tracce in tutto, sound molto compatto, nessuno spazio a virtuosismi, altri strumenti oltre quelli suonati dai tre, nessuna postproduzione. Diretto e schietto, note suonate con la grazia di una palata. Boogie paludosi come To the Floor, Chemicals, Sugar Farm o Mind Regulator (con forti richiami a Boogie Chillen) e The Switcher si intrecciano con trance nere come Diamond Man, True Vine, Mushin Dog, o si alternano a pezzi più oscuri, dall'incedere strisciante come Dirty Traveller, Stuff from a Cup, Blood, che a volte però si ripetono in modo piuttosto piatto. Unica cover e pezzo fuori dal coro è Safety zone, un rock anni '50 che da un po' di movimento al disco. L'ultimo album della band seattlesiana (se si dice così...) alla lunga può stancare, ma preso a piccole dosi ha dei bei momenti che meritano un ascolto. Canzoni da distillare come un braulio, che a piccoli sorsi va bene, ma tutto d'un fiato può risultare ostico.

 


Left Lane Cruiser
Beck in Black

[Alive/ Audioglobe 2016]

File Under: garage rock blues

alive-records.com/artist/left-lane-cruiser

di Paolo Baiotti (29/07/2016)

Beck In Black è una raccolta tratta dai primi albums della band per la Alive (in tutto sei) a partire dal 2008. Originari di Fort Wayne, Indiana, i Left Lane Cruisers sono la creatura di Freddy J IV (Joe Evans), voce e chitarra slide, affiancato da Pete Dio alla batteria che ha sostituito Brenn Beck (anche armonica e percussioni). Curiosamente i brani di questa raccolta, inizialmente pubblicata su vinile per il Record Store Day ed ora in cd con l'aggiunta di sei brani inediti, sono stati scelti dall'ex batterista, rimasto in ottimi rapporti con Freddy. La musica del duo, recentemente diventato un trio con l'inserimento di un bassista, è stata influenzata dal Mississippi Blues degli artisti della Fat Possum, un blues aspro e aggressivo contaminato dal garage rock e dal punk, con l'aggiunta di un pizzico di hard rock. Hanno punti di contatto con Black Keys, White Stripes, Seasick Steve, ma si caratterizzano per la voce aspra e rauca di Freddy, che alla lunga è troppo monocorde e rende difficile e pesante l'ascolto. Questo è un limite da non trascurare, che incide sul giudizio di un gruppo non privo di spunti interessanti. Beck In Black ha un'apertura brillante con l'inedita cover di The Pusher, il brano di Hoyt Axton celebre nella versione degli Steppenwolf del '68, inserito nella colonna sonora di Easy Rider. La lettura del duo è rallentata, cadenzata, con una slide accattivante che si contrappone all'asprezza della voce un po' indolente. Il boogie alla John Lee Hooker di Circus, l'elettroacustica ruspante G Bob e il ruvido hard rock di Bloodhound con un riuscito assolo distorto di slide mantengono alto l'interesse, ma a partire dalla monocorde Zombie, in parte riscattata da un'armonica abrasiva, inizia a manifestarsi un affaticamento dovuto alla voce sforzata e arcigna. Il rock blues di Chevrolet, la lenta Sausage, caratterizzata dai fraseggi della slide, Hip Hop ammorbidita dalle tastiere di James Leg e l'accattivante Maybe, cantata in modo più naturale, non sono da buttare, ma quando si arriva all'ultima traccia, l'inedita versione strumentale di Juice To Get Loose, si apprezza l'assenza della voce e si sente il bisogno di una pausa rigenerante.


<Credits>