Henry St. Claire Fredericks
Jr., in arte Taj Mahal, nato a Harlem nel 1942, ha attraversato
sette decenni con la sua musica dall’omonimo esordio del ’68 ai successivi
storici The Natch'l Blues e Giant Step, proseguendo a pubblicare
con regolarità abbracciando stili e continenti diversi. Dal blues al caraibico,
dall’Africa all’India, dal gospel all’errebi, dalla children music alle
colonne sonore, Taj ha sempre mantenuto una qualità e una coerenza apprezzabile,
anche con collaborazioni di prestigio, guadagnandosi rispetto dai colleghi
e dalla critica.
Giunto quasi al termine del suo percorso come altri artisti si è voltato
indietro, dapprima pubblicando nel 2022 Get
On Board, frutto della rinnovata collaborazione con Ry Cooder, suo
compagno d’avventura nei Rising Sons nel ’64, poi ripensando alla musica
ascoltata in gioventù in famiglia avendo un padre pianista di jazz con
radici caraibiche e una madre insegnante di gospel in Carolina del Sud
e parte di un coro a Springfield in Massachusetts, dove Mahal è cresciuto.
Il risultato è Savoy, un album di jazz orchestrale swingato
e bluesato, registrato a Oakland e prodotto dall’amico di lunga data John
Simon, conosciuto nel ’68 a New York, storico produttore di The Band,
Leonard Cohen, Electric Flag, Gordon Lightfoot e Blood Sweat & Tears.
Introducendo la prima traccia Stompin’ At The
Savoy Taj racconta l’incontro dei suoi genitori al Savoy Ballroom
di Harlem nel ’38 durante un concerto di Ella Fizgerald. Le quattordici
tracce del disco, quasi tutte eseguite più volte nei trent’anni di vita
del Savoy, ci riportano ad artisti come Benny Goodman, Duke Ellington,
George Gershwin, Louis Jordan, Louis Armstrong e Johnny Mercer e all’epoca
d’oro del jazz orchestrale. Gli arrangiamenti sono rispettosi degli originali
con qualche variazione che non ne modifica l’atmosfera; la voce roca di
Taj, tuttora vigorosa, si adatta alla perfezione alle ballate, faticando
leggermente nelle tracce più ritmate. La band è formata da una solida
e raffinata sezione ritmica, alla quale si aggiungono la chitarra di Danny
Caron, il piano di Simon, una robusta sezione fiati e un trio di backing
vocals perfetti in questo contesto.
Tra i brani spiccano una Summertime
discretamente ritmata, una raffinata e languida Moon Indigo, Sweet
Georgia Brown completata dal violino di Evan Price, che interviene
anche in Baby Won’t You Please Come Home,
delizioso duetto con Maria Muldaur, mentre nella ritmata Caldonia
si apprezza anche l’armonica di Taj. L’unica traccia più recente è Killer
Joe del ’60, doo-wop in cui le voci femminili dialogano con l’armonica.
Savoy è un tassello non indispensabile della storia di questo grande
artista, ma nello stesso tempo è un disco formalmente ineccepibile che
riporta degnamente l’attenzione su un genere musicale di indubbia importanza
storica.