C'è
persino un po'di commozione nel sentire questo fresco settantenne fare
le cose di sempre, quello che da una vita gli pare naturale fare: cogliere
una certa matrice blues di stampo chicagoano, miscelarla all'inconfondibile
sonorità dei talenti che l'accompagnano, sceglierli con l'esperienza e
l'abilità di sempre lungo un cammino proprio da lui aperto, nel british-blues
sì da garantirsene la paternità, e con il suo inguaribile marchio di fabbrica
in tutto quanto ne è venuto dopo. Sono ancora con lui encomiabili Bluesbreakers,
dalla consueta pulizia chitarristica al tocco di Buddy Whittington,
la ritmica possente del compagno Joe Yuele - precisa ed enfatizzata
nella presente registrazione - e Hank Van Sickle a fargli da contrappunto.
E John Mayall come un bambino, si diverte all'armonica onnipresente
nelle sue creazioni, cantate dalla sua voce veicolata da un feeling particolare,
quindi al piano stavolta con Tom Canning a fargli compagnia con
l'organo in un dialogo vivo in tutto questo Road Dogs. Mayall
lo confeziona ad hoc, senza che nulla cambi al suo stile particolare,
tale da farsi standard di sé stesso soltanto con una bella miglioria negli
elementi sonori, bei suoni frutto di un buon mixaggio e masterizzazione,
in quel di California dove il nostro risiede da tempo. E la foto di copertina
non può che spingerci a scrutarne l'orizzonte, dove può arrivare questo
Road Dogs senza peraltro superarlo, ma restando in equilibrio e bilanciato
in ciò che il leone dalla criniera d'argento riesce a fare con un entusiasmo
che stupisce, come i colleghi di colore che professano ancora il blues
alla veneranda età in cui taluni altri se ne godono i frutti alle volte
carpiti. Non ruba niente John, e father of british-blues continua
a corrispondere alla sua vocazione, la sua missione che l'aveva elevato
a crociato della giusta attribuzione di una musica negli anni d'oro che
tutti sappiamo.
Ma le nostalgie non sono per chi sta ancora sulle barricate, lo si sente
sulla pelle quando il presente dischetto apre sul corposo groove della
title-track, verso "..qualsiasi destinazione". Sembra proprio un album
fatto per viaggiare, godibilissimo lungo l'autostrada fin quando tira
in ballo anche la radio; che allora siamo pronti. Short Wave Radio
suona come un bluesaccio da autostello che richiama echi di Hard Road
all'incipit pianistico, ma si professa al dunque più incisivo e violento
sulle tracce di vecchie hoochie - coochie man. Mentre l'incedere del disco
si allarga a influenze soul in Forty Days, e piace piuttosto ricordare
il delicato bluesin' dalle influenze roots all'intervento violinistico
di Dale Morris Jr. con To Heal The Pain, tra le note più
interessanti. Le altre song sanno di chicago-style e rhithm&blues - menzionabile
il binomio Burned Bridges/Snake Eye - sebbene i toni turistici
impressi dall'onde marine in sottofondo a Kona Village ci facciano
accorgere di una certa rilassatezza, gradevolissima ballad che in un certo
senso ci si poteva aspettare, in un album di blues elettrico le cui canzoni
non aggiungono a Mayall nient'altro che il merito di essere un grande
professionista
(Matteo Fratti)
www.johnmayall.com
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