Benvenuti nel 1932, in epoca
prebellica, dove nel sud degli States si girava in calesse e il tempo
era scandito dal raccolto e si potevano ascoltare nei juke joints o agli
angoli delle strade polverose dei musicisti, alcuni girovaghi, altri ubriaconi
e rissosi, che suonavano il primo blues, acustica sgangherata da quattro
soldi o resonator da suonare adagiata sulle gambe magari con un coltello
come slide. E’ questa l’impressione che ci ha fatto al primo ascolto
Things Done Changed, il disco in uscita questo mese di ottobre
su Smithsonian Folkways di Jerron Paxton, cantautore blues e polistrumentista
di Los Angeles.
Questo album, edito dal sempre prestigioso marchio della Smithsonian,
è il primo lavoro completamente composto da brani originali dove Jerron,
come un bluesman di un tempo, suona tutto da solo (banjo, chitarra, armonica,
piano) e mischia blues, ragtime, folk, musica degli Appalachi, con un
effetto veramente da macchina del tempo. Robert Johnson, Lead Belly e
Mississippi John Hurt, sono questi i paragoni più immediati (e non scomodati
certo a caso), ma c’è molto anche dello stile più tetro di Blind Willie
Johnson o del banjo di Pete Seeger, del ragtime di Blind Blake, o ancora
delle linee melodiche ascendenti di Son House.
Paxton è nato e cresciuto a South Central Los Angeles, ma la sua musica
è intrisa del patrimonio culturale della 'Grande Migrazione', dalla quale
la sua famiglia proviene, essendosi spostata da Shreveport, Louisiana,
al quartiere Athens di South LA negli anni '50. Da figlio unico, Paxton
ha trascorso gran parte dei suoi anni formativi ad assorbire la cultura
che la famiglia aveva portato con sé in California, apprezzando e imparando
lo stile di quel tipo di musica. Poi, come in tutte le storie americane,
lo spostamento è sempre dietro l’angolo e Jerron, da Los Angeles si è
trasferito a New York City, dove ha trovato un pubblico accogliente all'interno
delle diverse comunità culturali della città e una vivace scena musicale
pronta ad apprezzare quella musica così antica.
Quindi dalla prima traccia, Things Done Changed, all’ultima Tombstone
Disposition, preparatevi ad un viaggio nel tempo e nello spazio dell’America
di inizio secolo, passando dal blues nell’istante prima di essere elettrificato
a Chicago (Baby Days Blues), al folk degli Appalachi (It’s All
Over Now), alla musica rurale della Louisiana (Little Zydeco)
alla scura musica prebellica del Mississippi à la Son House (All and
All Blues) per spingersi su fino alla Detroit prima del boom dell’industria
automobilistica (Tombsone Disposition) pagando il giusto omaggio
al John Lee Hooker che non aveva ancora attaccato la spina dell’amplificatore
alla corrente.
Un piccolo gioiello questo Things Done Changed che la Smithsonian
tira fuori dal cilindro, permettendoci di apprezzare un giovane musicista
contemporaneo dall’anima antica.