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gospel blues
di Pie Cantoni (23/11/2020)
Questa non doveva essere
la recensione di un disco postumo, purtroppo il 2020 continua a riservarci
brutte sorprese e, alla lunga schiera di artisti che ci hanno lasciato
a causa del coronavirus, si è aggiunto da poco anche Reverend John
Wilkins, che non ce l’ha fatta a sconfiggere la malattia. Il blues
e la chiesa erano nel dna di John Wilkins, già figlio di Reverend Robert
Wilkins, un esponente del blues prebellico, e fino a poco tempo fa portava
in giro il verbo del blues e del Signore con il suo show, che mischiava
southern gospel, blues delle colline e rnb in una miscela, a quanto pare,
esplosiva. La battaglia persa con un virus che ormai siamo abituati a
chiamare per nome, avviene al decimo anniversario dall’inizio della sua
carriera discografica, partita nel 2010 con il disco You Can’t Hurry
God (alla veneranda età di 67 anni), dove riprendeva anche il brano
più famoso del padre Robert, “Prodigal Son”, che venne incluso in Beggars’
Banquet dai Rolling Stones nel 1968.
L’uscita del suo Trouble, titolo che voleva proprio dare
il senso del superamento di tutte le difficoltà e degli imprevisti della
vita, doveva essere una celebrazione per l’artista, ma così non è stato.
Ad accompagnarlo in questo suo ultimo disco c’è una schiera di collaboratori
e musicisti di lungo corso come Tangela Longstreet, Joyce Jones e Tawana
Cunningham alle voci, Kevin Cubbins alla chitarra, Steve Potts alla batteria,
Jimmy Kinnard al basso e Reverend Charles Hodges all’Hammond B3. Gli undici
brani che compongono Trouble sono stati registrati nei mitici Royal
Studios di Memphis da Lawrence “Boo” Mitchell (che ha già collaborato
con molti altri artisti come Al Green, Solomon Burke, John Mayer, fra
i più importanti). Undici tracce in tutto e l’apertura è lasciata alla
title track Trouble, che parte con
un giro di basso suadente e poi prende il volo con l’ingresso degli altri
strumenti e della voce roca e profonda di Reverend Wilkins. Down Home
Church potrebbe essere suonata tranquillamente dai North Mississippi
Allstars dato l’elevato tasso di funk blues che contiene, mentre You
Can't Hurry God riprende l’esordio del reverendo, in un brano che
non sfigurerebbe in un disco dei già citati Stones.
Si aggiunge anche qualche cover come Grandma's
Hands (di Bill Withers, una delle principali influenze di Wilkins,
anche lui purtroppo scomparso in questo nefasto 2020), l’energica Wade
In The Water (di Pops Staples) e la ballata southern Darkest Hour
(di Ralph Stanley). Bellissima e ipnotica Walk
With Me, che ricorda il delta blues di Skip James mentre God
Is Able è una sarabanda allegra e caciarona (anche se religiosamente
corretta) dedicata a Dio. Chiude il blues venato di gospel di Storm
And Rain, come simbolo della rinascita di Reverend John Wilkins nonostante
le difficoltà che ha attraversato (I came through storm and rain/but I
made it), bella canzone carica di speranza, con anche una citazione del
grande Woody Guthrie, e che tuttavia non si è rivelata veritiera per l’artista.
Tanti sono gli artisti e i gruppi che non siamo riusciti ad apprezzare
e vedere in attività perché la loro carriera è terminata ben prima che
nascessimo o che avessimo un qualsivoglia giudizio critico; avere avuto
però un artista del calibro di Reverend John Wilkins a portata di mano,
per scoprirlo solo quando ormai era troppo tardi, è l’ennesima beffa di
questo anno bisestile che ci auguriamo finisca presto.