Tristan Egolf
Il Signore della Fattoria

Frassinelli



Un grande esordio, estremamente in sintonia con i territori raccontati day by day sulle RootsHighway. Il protagonista di Il signore della fattoria, John Kaltenbrunner, è un fottuto perdente che, nel bel mezzo della provincia americana, bianca, povera, disperata, si ritrova ad andare costantemente controcorrente rispetto alla sua esistenza. Le atmosfere della smalltown di Baker, dove è ambientato Il signore della fattoria, sono le stesse evocate nelle canzoni della Carter Family, nei Basement tapes, nelle Roots dei Blue Mountain o nei deliri degli Handsome Family: ottusità, bizzarie, pettegolezzi, alcool a pioggia, gente disperata che vive tra la spazzatura sulle rive dei fiumi, dinamiche sociali misteriose e consolidate più dall'abitudine e dall'apatia che dalla loro necessità. John Kaltenbrunner ha la sfortuna di nascere intelligente nel posto sbagliato, esattamente in the middle of nowhere. Ancora prima di finire le scuole dell'obbligo ha avviato una piccola impresa agricola all'avanguardia e tanto basta a scatenare le invidie, i risentimenti, voci e voci e voci che portano, inevitabilmente, ad una guerra totale tra lui e la contea intera. Da lì parte la sua odissea, che Tristan Egolf racconta con il savoir faire del vero outsider, un po' di magia del primissimo Stephen King, ma anche il ritmo del folksinger stralunato, tra Beck e uno qualsiasi delle dozzine di nomi che potete scoprire scorrendo queste pagine.
 

Edward Abbey
I Sabotatori

Meridiano Zero

 


Sembra vederlo, Edward Abbey mentre scrive a proposito dei suoi Sabotatori che "dovrebbero averlo tutti, un hobby". Un piccolo ghigno, visto che il passatempo in questione comprende dighe fatte saltare per aria, bulldozer resi inutili, ponti disintegrati e altre amenità più o meno esplosive. L'argomento non è sicuramente una novità per chi ha una certa frequentazione con quegli scrittori vicini all'immaginario rock'n'roll. Già l'imperdibile Jim Harrison in Un Buon Giorno Per Morire, aveva colto quelle tensioni, un po' più in là del normale ecologismo, che le grandi dighe, l'industria dell'energia e, più in generale, lo sfruttamento delle risorse terrestre hanno sviluppato. Certo, I Sabotatori sono molto più organizzati dello sghembo e paranoico triangolo di Jim Harrison, ma l'obiettivo e l'orizzonte sono gli stessi: sbatterci contro è un sogno, che porta subito a diventare dei fuorilegge, pur con la certezza di essere nel giusto. E' la scelta della Monkey Wrench Gang di Edward Abbey: la squadra dei Sabotatori è composita e sempre a rischio di combustione interna (una donna e tre uomini), ma tutti sanno che il gioco funziona meglio, insieme. "Lavoro di squadra, è questo che ha fatto grande l'America: lavoro di squadra e iniziativa, sono queste le cose che hanno permesso all'America di essere quello che è oggi" scrive Edward Abbey con una congrua dose di ironia, visto che il work in progress dei Sabotatori è diametralmente opposto all'american dream delle grandi corporazioni e della cosiddetta maggioranza silenziosa. Perché più della dinamite e delle pistole, ciò che colpisce il bersaglio è la loro capacità di sognare e di sognarsi liberi.
   

Lewis Shiner
Visioni Rock

Fanucci

 


Quando è uscito, un paio d'anni fa, Visioni Rock è stato una vera e propria sorpresa e ancora oggi mantiene intatto gran parte del suo fascino. L'essenza della storia è un viaggio a ritroso nel tempo che chiunque di noi vorrebbe fare: Ray Shackleford (questo il nome del protagonista) attraversa gli anni (dal 1988 alla golden age del rock'n'roll) per incontrare Jimi Hendrix e i Doors, i Beatles e Brian Wilson. Tutti ormai al crepuscolo della propria carriera e, in un paio di casi, anche della vita stessa. Visioni Rock (Glimpses il titolo originale) li racconta con passione e amarezza, onirico e realistico nello stesso tempo, ma soprattutto con un grandissimo affetto per il rock'n'roll che traspare in ogni sua singola pagina. Senza nostalgie posticce, privo di qualsiasi tardivo amarcord, Visioni Rock è un libro che suona e vibra dall'inizio alla fine, con la stessa intensità dei dischi che racconta. Perché, come scrive Lewis Shiner, "la musica è semplice. Il senso delle parole non ha tutta quest'importanza. Il vero significato sta nelle chitarre e nelle batterie, nel modo in cui un disco suona". E' proprio così.
 

Stephen King
On Writing

Sperling&Kupfer

 


"I libri hanno la singolarità di essere magie portatili" scrive Stephen King nel cuore di On Writing, curiosa autobiografia che è anche un vademecum per lo scrittore e per il lettore. Certo, nel suo caso, l'eccesso di produttività non sempre ha coinciso con la qualità della magia, ma On Writing è ad un livello diverso rispetto agli ultimi libri di Stephen King. Abile mestierante, davvero, che qui riesce a confessare, con una certa sincerità, gli anni della tossicodipendenza e dell'alcoolismo (una delle parti più toccanti di On Writing), almeno una sacrosanta verità sulla letteratura ("Agli americani interessano molto di più i quiz televisivi che i racconti di Raymond Carver") e molti trucchi dello scrittore e, soprattutto, del lettore, compresa lunga lista di libri consigliati nel finale. Molti dei quali già conosciuti attraverso queste pagine e non è una coincidenza perché delle (tante) idee di Stephen King condividiamo, in particolare, questa: "il fine della fiction è di trovare la verità dentro la ragnatela di bugie della storia". Possiamo credergli: del resto, già nell'incipit si dimostra (per quanto non c'era un granché bisogno) un rock'n'roller di primissima scelta e ciò, almeno in questo caso, può bastare.

 


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