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Dennis
Lehane Quello
era l'anno
[Piemme]
pp. 621
"Steve Coyle era ubriaco ma aveva appena fatto il bagno quando, nella sua qualità
di giudice di pace, officiò il matrimonio..." Di chi, in data 3 giugno 1919, officia
il matrimonio Steve Coyle, membro della polizia di Boston, a pagina 431 di Quello
era l'anno (The given day, William Morrow / Harper Collins, 2008), ultimo,
intensissimo romanzo dell'americano di sangue irlandese Dennis Lehane?
Per scoprirlo dovete leggerlo, ma vi assicuro che 400 pagine le butterete giù
d'un fiato, e altrettanto farete con le 200 che restano. Sempre che amiate quella
letteratura di pura narrazione che ha il suo padrino indiscusso in Charles Dickens
e arriva ai giorni nostri con i casi, eclatanti, di Stephen King e John Irving
(giusto per fare due esempi) prima che entrambi rimbambissero irrimediabilmente.
Ma era da tanto tempo, forse dal Philip Roth di Pastorale americana, che
ha comunque radici più colte e metafisiche, è maggiormente impregnato di purezza
letteraria, che non mi capitava tra le mani un romanzo così epico, potente, coinvolgente.
Dennis Lehane, del resto, non è nuovo a imprese capaci di trascendere, senza ovviamente
rinnegarla, la crime-fiction che l'ha reso celebre (e della quale, in virtù dell'esplosivo
ciclo dei dectives Pat Kenzie e Angie Gennaro, resta il maggior esponente statunitense
in compagnia di George Pelecanos): già Mystic river (2001), pur pullulante
di sbirri e carcerati, esulava dai confini specifici del poliziesco, laddove L'isola
della paura (Shutter island, '03) ne proponeva una versione storicista ed
orrorifica e i racconti di Coronado ('06) li frammentavano in una radiografia
impietosa di vite blue-collar spappolate tra avidità e cinismo. Anche
in Quello era l'anno, introdotto nientemeno che da una citazione
della Wings di Josh Ritter, il corpo di polizia gioca un ruolo importantissimo,
ma non esclusivo. Ambientato tra Boston, Massachussets, e Tulsa, Oklahoma, il
libro segue parallelamente, fino al loro intersecarsi, le vicende di Luther Laurence,
un operaio nero in procinto di diventare padre che pesta i piedi sbagliati ed
è costretto a scappare dalla neonata famiglia, e Aiden "Danny" Coughlin, figlio
di uno dei più amati capitani della polizia di Boston, all'indomani della terribile
influenza Spagnola che nel 1918 arriva a contagiare anche le coste americane.
Luther finisce a lavorare per la famiglia (rigidamente patriarcale) di Danny,
Danny inizia a lavorare sotto copertura per infiltrarsi negli ambienti anarchici
e comunisti di Boston, il cui capodipartimento delle forze dell'ordine teme il
proliferare di attentati sovversivi. Danny, che arriverà ad estraniarsi dalla
famiglia e a stringere una solida amicizia con Luther (che gli salverà due volte
la vita), pur respingendo senza esitazioni la follia del terrorismo non può non
sentirsi affine alle rivendicazioni di tanti poveracci in lotta per un salario
migliore e un'esistenza appena più decente, sicché contribuisce attivamente a
fondare il primo sindacato di polizia e a indire il grande sciopero della polizia
di Boston del 1919, vero e proprio culmine del romanzo descritto in una serie
di pagine indimenticabili, violente, cupe e allucinate come un quadro di Hyeronimous
Bosch. C'è tanta carne al fuoco in questo romanzo: c'è l'America giovanissima
dei primi del '900 e ci sono i nuovi concittadini che tramano per farla saltare
in aria, ci sono i primi movimenti sindacali e la repressione violenta delle forze
del capitale, c'è la segregazione morale e concreta della popolazione nera e la
rigidità delle famiglie cattoliche e tradizionaliste. C'è la lotta tra padri e
figli, vissuta nel tormento e nella confusione, accanto a un confronto mai accademico
tra i ruoli maschili e quelli femminili, coi rispettivi codici di comportamento
e piccole, grandi ipocrisie la cui influenza non s'è ancora esaurita al giorno
d'oggi. C'è il baseball, più di ogni altra cosa, il baseball visto come specchio
riflettente dei progressi o delle battute d'arresto della coscienza sociale del
paese, il baseball dove Babe Ruth, prima pitcher dei Boston Red Sox e in seguito
difensore dei New York Yankees, da alcuni odiato per un gioco eccessivamente spettacolare
dove vengono meno i fondamenti della grammatica tecnica e da altri idolatrato
per la coreograficità degli home run e lo stile di vita "bigger than life", entra
in contatto con le rivendicazioni dei bolscevichi (o presunti tali) e con l'isolamento
della gente di colore, iniziando a riflettere, pur senza mai comprenderle del
tutto, sulle esigenze di entrambi. I pensieri e il percorso umano, sportivo e
sindacale di Ruth costituiscono la cornice dell'intero racconto, che con lui inizia,
con lui si prende una pausa a metà programma e con lui conclude, dopo 600 pagine
dense di colpi di scena e ribaltamenti di prospettiva. Ci sono, infine, le sorprese
e i frequenti, splendidamente architettati, coup de théâtre che costituiscono
l'ossatura del romanzo, dacché non va dimenticato come, nell'illustrare i cardini
di una detection quasi poliziesca sui comportamenti degli esseri umani, Lehane
- lo ribadisco - sia un maestro. Prendete il primo dialogo, da pagina 264 a pagina
266, tra il tenente Eddie McKenna, padrino di Danny e ambiguo braccio destro di
suo padre, e Luther Laurence, da poco arruolato in servizio presso la famiglia
Coughlin: tre pagine fitte di chiacchiere in apparenza bonarie e senza scopo che
in una sola battuta, quando McKenna, congedando Laurence, gli chiede perché si
sia sobbarcato tutta la distanza tra la nativa Columbus, Ohio, e Boston, suggerendogli
i 1300 km di distanza esatta tra le due città e facendo così capire che sa tutto
di lui e lo tiene d'occhio: un meccanismo ad orologeria di purezza narrativa travolgente.
Naturalmente tutti questi elementi si intersecano in un disposivo thriller
che, c'è da scommetterci, farà storcere il naso a tanti critici (compreso, e me
ne dispiaccio, il mai troppo lodato Alessandro Portelli, che sulle pagine del
Manifesto ha lamentato il fatto che in tanta ipertrofia romanzesca manchi un più
deciso schierarsi in senso politico, come se la scelta di un tema, il taglio narrativo
o il congegno delle relazioni tra personaggi non fossero, essi stessi, derivati
di scelte come sempre politiche). Piacerà invece moltissimo a chi ha apprezzato
non solo i precedenti lavori di Lehane, ma anche La fine della strada ('00),
del dublinese Joseph O' Connor, o I figli del buio ('98), di un altro irlandese,
Colum McCann; titoli che con Quello era l'anno condividono l'ambizione
epica e profondamente umanista di raccontare, dal basso, le svolte cruciali di
una nazione e la stupefacente, densissima fluidità di un'affabulazione dove la
rabbia solenne dei primi U2 incontra la furibonda amarezza celtic-punk dei Pogues.
Se la pensate come Duke Ellington, secondo il quale non esistevano generi musicali,
solo musica buona o cattiva, non faticherete a innamorarvi di questo libro: di
genere, forse (e di sicuro non è un insulto), ma di un genere che al di là delle
etichette - poliziesco, storico, politico - scorre semplicemente grandioso.
(Gianfranco Callieri) And you know it's time
to go Through the sleet and driving snow Across the fields of mourning
Lights in the distance The city walls are all torn down The dust
a smoke screen all around See faces ploughed like fields that once Gave
no resistance And we live By the side of the road On the side of
a hill As the valley explode Dislocated, suffocated The land grows
weary of its own Tonight we'll build a bridge Across the sea and land
See the sky, the burning rain She will die and live again Tonight
U2, A Sort Of Homecoming (da The Unforgettable Fire [1984]) |