1) The Letter

C'è una lunga storia nascosta dietro Le vere avventure dei Rolling Stones che parte dai giorni della morte di Brian Jones e arriva a oggi. Stanley Booth, lettore vorace e scrittore precoce da Waycross, Georgia, la stessa smalltown di Gram Parsons, segue gli Stones a cavallo tra il 1968 e il 1969, e i dischi in circolazione sono Beggars Banquet, Let It Bleed e (nella coda finale e ancora in fase di gestazione: si parla di concludere il primo singolo, Brown Sugar) Sticky Fingers. A ventisei, ventisette anni, Stanley Booth è un southern angry gentleman che ha digerito William Faulkner e Mark Twain ed è a suo agio tanto con i blues di Blind Willie McTell quanto con la filosofia di Friedrich Nietzsche. Un curriculum particolare e senza dubbio adatto e resistente alle alte temperature dei Rolling Stones dove però sembra contare soltanto essere lì, non mollare la presa, rimanere aggrappati alla storia. Stanley Booth comincia la sua avventura, è il termine appropriato, in modo paradossale (del resto stiamo parlando degli Stones) ovvero chiedendo il permesso, e che sia scritto per giunta. Il manager dell'epoca è Allen Klein e ha ben altro a cui pensare, anche se un suo emissario, con un sorriso glaciale, chiede metà dei proventi del libro "per i ragazzi". Stanley Booth tergiversa e rimanda la questione al suo agente e chiede l'intervento di Keith Richards. Keef gli chiede cosa ne pensa Mick, Mick gli chiede cosa ne pensa Keith e vanno avanti così per un bel po', tra un party e una conferenza stampa ("Vi è piaciuto cenare allo Yamato ieri sera?"), fino a quando i Glimmer Twins non gli dicono di scriversela da solo, the letter, che poi tutti i membri del gruppo ci metteranno le loro firme. E così Stanley Booth si ritrova solo in una stanza d'albergo a scrivere una lettera per conto della più grande rock'n'roll band del mondo per ottenerne la "completa ed esclusiva collaborazione" per la realizzazione di un libro. Due righe battute a macchina che gli Stones firmano il 21 ottobre 1969. Due mesi dopo è tutto finito e, per dirla con una delle colte epigrafi di Stanley Booth, quella conclusiva di Rainer Maria Rilke, "chi parla di vittoria? La sopravvivenza è tutto".



2) 2000 Light Years From Home


Ci vollero quindici anni perché Le vere avventure dei Rolling Stones prendessero forma: è il minimo, per "un libro con dentro sesso, droga e rock'n'roll, violenza, uccisioni, caos, commedia e tragedia" e anche perché, come ha detto Stanley Booth: "Per scrivere il libro, sono dovuto diventare una persona diversa dal folle giovane che è andato in tour con gli Stones, c'è voluto un momento". Trascinato nel gorgo di usi e abusi dei Rolling Stones, Stanley Booth ha dovuto "aspettare che scadessero i tempi della prescrizione", schivare depressioni e distruzioni, cercando di rimettere insieme dozzine di taccuini, impressioni e idee quanto mai confuse, ritirato in un bosco del New England, un posto bucolico e perso nella wilderness, neanche fosse H. D. Thoreau o, in modo più prosaico, un veterano. I duemila anni luce lontano da casa, per Stanley Booth come per tutti, avevano prodotto una sconfitta difficile da digerire ed è qualcosa di più di una coincidenza se la prima edizione di Le vere avventure dei Rolling Stones sia apparsa in concomitanza con l'avvento di Ronald Reagan "il quale diede al paese quello che il paese chiedeva, vale a dire la negazione, l'oblio". Un nuovo ordine, che spostava in modo ambiguo anche la percezione di alleati e nemici perché alla fine il mondo l'avrebbe cambiato un attore di Hollywood e non qualche annoiata rock'n'roll star. La riflessione nella postfazione più recente, siamo già nel 2000, di Stanley Booth è eloquente: "La guerra in Vietnam, gli assassinii, le rivolte, le manifestazioni, la guerra della droga, tutto era parte integrante della società di allora, la scenografia nella quale ii narcisismo del rock'n'roll metteva in atto i suoi (forse del tutto insignificanti) drammi. Ma i contrasti erano fortissimi: personalità come Brian Jones, Gram Parsons, John Lennon, che coesistevano con Nixon e compari, Spiro Agnew e John Mitchell. Era talmente facile identificare i cattivi".

Non che Le vere avventure dei Rolling Stones raccontino le gesta di bravi ragazzi (anzi), ma almeno nella turbolenza feroce che fu apogeo e disastro del rock'n'roll era nitida la distinzione o, per dirla con lo stesso Stanley Booth, "il mondo era più giovane e il suo senso più chiaro". Nella sua prefazione, Greil Marcus le chiama, con un curioso ossimoro, "profezie retrospettive", ma in fondo è quello il senso compiuto e più intimo che Le vere avventure dei Rolling Stones raccontano ancora oggi: non c'era nessuno pronto a vivere "nel mondo reale, un mondo che anno dopo anno sarebbe diventato sempre più simile ad Altamont" e quello che è riuscito a Stanley Booth, come a nessun altro, è stato di raccontare quanto grandi siano stati i Rolling Stones (e per estensione il rock'n'roll) persino nella brutalità della decadenza, persino nell'aver anticipato un tempo, e un mondo, che nessuno avrebbe mai voluto vedere.



Stanley Booth
Le vere avventure dei Rolling Stones
[Feltrinelli, pp. 525]

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Il più felice riassunto del libro di Stanley Booth è quel verso di Rainy Day Women che dice "now everybody must get stoned", che è l'unico modo per comprendere i Rolling Stones, gioco di parole finale compreso. L'esperienza di Stanley Booth, furiosa in corso d'opera, molto dolorosa poi, è la stessa vissuta, qualche anno prima, dal loro primo e genialoide manager, Andrew Loog Oldham: "Ho conosciuto gli Stones e ho appeso la mia vita all'attaccapanni", ed è quello, né più né meno, il prezzo da pagare per seguire Le vere avventure dei Rolling Stones. Per Stanley Booth trovare il tono e il ritmo giusto per raccontarle è stato ancora più complicato essendo un lettore accanito di Geoffrey Chaucer, William Shakespeare, Jonathan Swift, Henry Miller, Walt Whitman, Stephen Crane, Robert Louis Stevenson, Mark Twain, Ernest Hemingway, William Faulkner, Dashiell Hammett, Raymond Chandler, James M. Cain, Eudora Welty, Flannery O'Connor, Evelyn Waugh, Vladimir Nabokov, Berry Morgan e dei "primi cinque romanzi" di Cormac McCarthy. L'elenco serve a descrivere le fonti di uno scrittore che si è fatto carico di immortalare in modo indelebile qualcosa che non riguarda soltanto Le vere avventure dei Rolling Stones: è l'ammissione di una sconfitta, di un fallimento come soltanto la letteratura concede, perché, come dice lo stesso Stanley Booth, "uno scrittore è sempre un outsider persino nella sua famiglia". Figurarsi nei Rolling Stones a cavallo del 1969, un'orda famelica che sta attraversando un'America sul filo di rasoio di una guerra civile latente. Le due entità, volubili e misteriose allo stesso modo, si incontreranno ad Altamont ed è allora che Stanley Booth distilla l'amara ammissione che "eravamo convinti di essere diversi, di essere in qualche modo scelti, letti, destinati a ottenere successo, amore e felicità. Sbagliavamo".

La sua osservazione, senza rimpianti e senza rancori, arriva dopo aver vissuto nel ventre della bestia, seduto in aereo con Mick Jagger che gli confessa di essere "una merda bella grossa", condividendo tutto (ma proprio tutto) quello che c'era da condividere con Keith Richards (e anche Gram Parsons) e soprattutto lottando con gli stessi blues, il giorno dopo, per molti giorni e molte notti di seguito. La storia, cercando di concentrare cinquecento pagine, è questa: "A prescindere da quello che sono oggi, o possano diventare in futuro, i Rolling Stones da giovani hanno messo più volte a repentaglio se stessi a causa di quello che erano, di come vivevano, di quello in cui credevano. In quegli anni, e a lungo, sono stato insieme a loro. Qualcuno è sopravvissuto a quell'epoca, qualcuno no" e Stanley Booth si lascia coinvolgere a narrare Le vere avventure dei Rolling Stones come se Jack Kerouac fosse stato fornito di un access all areas backstage pass (laminato in oro zecchino) per arrivare a cogliere, dal vivo, nel momento stesso in cui accade, una fondamentale conclusione: "Nel cuore di questa musica si avverte una tensione profonda verso una indefinita insurrezione in assenza della quale la musica muore". Con tutto il rispetto dei Rolling Stones (siano benedetti), non soltanto rock'n'roll.


 


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