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Sherman
Alexie a
cura di Marco Denti
Al tramonto di una delle più sanguinose battaglie della guerra di secessione, quella di Antietam, Lincoln presentò la prima bozza del proclama di emancipazione che diventò ufficiale il primo gennaio del 1863. Negli stessi frangenti, lo stesso presidente e il governatore del Minnesota, Alexander Ramsey, procedevano con lo sterminio dei Sioux. Confinati nelle riserve, affamati dalla corruzione e dalle imposizioni confederate, gli indiani cominciarono a cacciare e a rubare fuori dai limiti territoriali delineati dai "trattati". Quando uno sparuto gruppo venne sorpreso a prelevare delle uova in una fattoria di coloni, le autorità ordinarono la cattura e l'impiccagione di 303 indiani (maschi). Per 38 la condanna venne fissata nel giorno dopo il Natale 1862 e uno di loro venne graziato all'ultimo momento. È un frammento di storia americana che in Danze di guerra (nella traduzione di Laura Gazzarrini, Enne Enne Editore, 200 pagine, 18 euro) Sherman Alexie racconta in Un altro proclama. Gli dedica soltanto una pagina (scarsa) perché non ha bisogno di tornare a ripercorrere le linee di sangue su cui sono stati delimitati gli Stati Uniti e si concentra su un particolare dell'esecuzione: a Mankato, Minnesota i 38 indiani si avviarono al patibolo cantando "le loro canzoni di morte" e, si chiede in fondo a Un altro proclama, "riuscite a immaginare la cacofonia della canzone di lutto di quell'unico sopravvissuto? Se vi avesse insegnato le parole, credete che avreste cantato insieme a lui?". La domanda è ambivalente e le possibili risposte
conducono dritte nel patchwork della scrittura di Sherman Alexie che,
essendo nato nella riserva indiana di Spokane, Washington, nel 1966,
non ha ascoltato soltanto le invocazioni dei pow wow o le melodie delle
leggende, ma è cresciuto con "l'arte delle canzoni pop" distillata lungo
tutto l'albero genealogico negli abbinamenti così elencati in Diario
assolutamente sincero di un indiano part-time: "Pasty Cline, la
preferita di mia madre; Hank Williams, il preferito di mio padre; Jimi
Hendrix, il preferito di mia nonna; i Guns'n'Roses, i preferiti di mia
sorella; i White Stripes, i miei preferiti". Il tono acerbo e irriverente
di Diario assolutamente sincero di un indiano part-time ("E anche
se il tuo trionfo è stato modesto, puoi ancora celebrare la tua odissea
di adolescente" scrive nell'ultimo verso di Ode agli innamorati delle
piccole città), superato dalla maturità indiscutibile delle Danze
di guerra, trova un'analisi molto più approfondita ed efficace
delle "eresie" della musica pop che si rivela durante La ballata
di Paul Nondimeno: "Aveva senso affermare che la figura di Elvis
fosse più importante nella storia americana di quella di Einstein? Si
poteva postulare che Respect, nella versione di Aretha Franklin,
fosse più rilevante per la vita americana rispetto al discorso del 1961
in cui Dwight D. Eisenhower metteva in guardia il paese sui pericoli
del complesso militare-industriale? Era lecito per una persona responsabile
pensare che Like A Prayer di Madonna fosse tanto indispensabile
e universale per la vita di tutti i giorni quanto la forchetta o la
ruota?". Lo salva il "bagaglio kafkiano", meglio specificato
in Danze di guerra, e allora pare pertinente ricordare
tra gli Aforismi di Zürau quello che dice: "Prima non capivo perché
la mia domanda non ottenesse risposta, oggi non capisco come potessi
credere di poter domandare. Ma io non credevo affatto, domandavo soltanto".
La logica paradossale di Franz Kafka collima con quella di Sherman Alexie
quando si chiede (ancora): "Ma cos'è il reale? A me non interessa ciò
che è reale. A me interessa ciò che dovrebbe essere". Lo scriveva in
Una droga chiamata tradizione (in Lone Ranger fa a pugni in paradiso)
ed è la distinzione nitida della scrittura di Sherman Alexie che è una
somma di alternative, uno slalom prosa, poesia, canzoni, diari che in
Danze di guerra si rivela in modo molto più raffinato e levigato,
come se Sherman Alexie avesse voluto intraprendere una nuova declinazione
dei suoi sogni e dei frutti della sua fantasia che rimane piuttosto
fervida e libera, di sicuro non riconciliata, non omologata. Come ricordava
in Lone Ranger fa a pugni in paradiso, la sopravvivenza è il
risultato della moltiplicazione della rabbia per l'immaginazione che
"è la sola arma della riserva". Questo
mimetismo è la principale abilità di Sherman Alexie che passa dai blues
delle riserve alla stridente attualità raccontata in Furto con scasso o
Il figlio del senatore, racconti i cui tasselli si incastrano uno dopo
l'altro rileggendo le (nostre) cronache quotidiane, dall'esecrazione degli additivi
pseudoerotici in La ballata di Paul Nondimeno ("Credo che il Viagra sia
stato inventato per concedere agli stronzi adulteri anni in più per fare gli stronzi")
alla placida asserzione "politica" in Indian Killer, quando dice che "una
volta ho sentito dire che prima di ascoltare qualunque predica un uomo deve avere
la pancia piena e una casa calda", fino alla sua personalissima teoria del big
bang per poi tornare, di nuovo, agli "eroi senza gloria" della cultura nativa.
Sempre in parallelo e nel contesto di una dimensione pop nel senso più esteso
del termine che comprende i film di Bruce Lee e King Kong, i fumetti e 007 e,
a chiudere il cerchio delle canzoni, anche quell'Ode alla compilation,
intesa come "il vascello che portava tutta la devozione e il dolore, quella che
faceva le promesse che non potevi rimangiare", e nessuno meglio di lui è riuscito
a spiegare cosa c'era dentro quei nastri selezionati brano per brano, titolo per
titolo, copertina customizzata compresa. Una miscela istintiva e spontanea, come
ha ammesso lo stesso Sherman Alexie in un'intervista di qualche anno fa: "Yeah,
io ci vivo in questo mix. Conosco le tradizioni della cultura nativa, ma leggo
i libri, ascolto la musica e guardo la televisione. Fin dal momento in cui sono
nato sono stato parte di due culture differenti. Quella della mia tribù e quella
americana. Racconto esattamente quello che sono". La playlist di "Danze di guerra"
Danze
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