We're no different than the neon lights
When you turn us on we stay up all night
We do what we can, we put up a fight
Then we burn too long, we flicker and die.
(American Aquarium, Burn Flicker Die)
David Joy
Queste montagne bruciano [Jimenez,
pp.256]
La Carolina del Nord è un altro pezzo di America
che va lentamente alla deriva, luogo dell’anima prima ancora che terra
fatta di sentieri, boschi e cittadine con i loro abitanti in carne e
ossa. All’esterno c’è il fuoco, lungo i crinali delle montagne, il fumo
aleggia su tutto il paesaggio come una minaccia costante, seppure tenuta
a distanza; all’interno ci sono le ferite dei junkies, di chi cerca
l’ennesima dose e di chi è pronto a fornirgliela, in un gioco eterno
di domanda e offerta, così come il dolore e la rabbia di padri, sorelle,
amici che vedono consumarsi in loro l’ultimo briciolo di dignità. Queste
montagne bruciano, appunto, e lo fanno con una ferocia che David
Joy trasmette nelle descrizioni senza sconti della tossicodipendenza,
intrecciandole con l’ambiente, il destino di una contea, Jackson, della
sua gente, di quello che hanno ceduto quasi senza accorgersene (“perchè
tanta brava gente vedeva che la barca stava imbarcando acqua e si rifiutava
di infilare un dito nei buchi").
Le falle che si staccano sono mondi che sembrano seguire regole diverse,
destini diversi, eppure si attraggono, uno bisognoso dell’altro, in
un intreccio concentrico che porta a chiedersi se questo angolo americano
conoscerà comunque una sua forma di salvezza: ci sono Ricky Mathis e
Denny Rattler e il loro rapporto pericoloso con il desiderio e la morte
(“non era che ai tossici non importasse se vivere o morire; era che
la sensazione che inseguivi si trovava proprio sull’orlo del baratro
e a volte cadevi e basta”); c’è soprattutto un padre, Ray Mathis,
che vorrebbe ristabilire a tutti i costi un ordine perduto, quando le
cose avevano tutte un nome e il senso di giustizia era elementare; e
ci sono agenti come Ron Holland e Rodriguez che tentano di mettere insieme
tutti questi pezzi per un obiettivo finale, più grande del singolo individuo.
Nel mezzo e intorno, sempre attento a restare in equilibrio fra l’azione
e i sentimenti dei protagonisti, Queste montagne bruciano
ci parla, sfruttando gli stilemi della crime novel, di qualcosa di più
profondo: l’isolamento delle comunità rurali (“Il fatto è che uno
poteva vivere tutta la vita su queste montagne senza allontanarsi mai
più di trenta chilometri”), la corruzione economica e morale che
anche le aree tribali dei nativi americani devono affrontare, le conseguenze
della svendita di una terra e della stessa esistenza dei suoi residenti
in nome di un’avidità che da una parte finisce nel buco di un braccio
e dall’altra in fiumi di denaro sporco.
(Fabio Cerbone)
Tra il flash dell’eroina e il buio della crisi
di astinenza, il tempo è delimitato da uno spazio infinito, dove tutta
l’esistenza è consacrata alla spasmodica caccia della dose successiva.
In mezzo, il nulla: la tossicodipendenza è come un buco nero che inghiotte
inesorabilmente tutto e tutti. Non c’è pietà, compassione, speranza:
come diceva William Burroughs (uno esperto, sul campo) è una condizione
“minerale” che, nella bellissima e tormentata wilderness della Carolina
del Nord, si riflette nel fumo e nella cenere sollevati dagli incendi
boschivi. Su questo sfondo apocalittico Raymond (Ray) Mathis vive il
dramma del figlio Ricky, ormai giunto ai confini estremi del suo calvario
di tossico. Prima deve intervenire per salvarlo, rimettendoci diecimila
dollari, ma ammettendo di essere arrivato al capolinea, tanto da dirgli:
“Quello che voglio dire è che è finita. Non c’è più modo di salvarti.
Non mi è rimasto più niente da darti”. È più di una premonizione
perché, poco dopo, un’overdose stronca Ricky e scatena in Ray la volontà
della vendetta (sacrosanta) contro gli spacciatori. “Se mai ho commesso
una sola buona azione in tutta la mia vita, me ne pento dal profondo
dell’anima”, una battuta dal Tito Andronico, citato en passant da
David Joy, condensa la scelta perentoria di Roy. Conosce il terreno,
sa come muoversi in una foresta di notte, ha un compagno pronto a tutto
e altrettanto esperto sui sentieri di caccia (con una particolare specializzazione
per gli esplosivi) e porta a termine la sua missione, ma siamo solo
all’inizio e la trama di Queste montagne bruciano riserva
ancora molti colpi di scena.
Intanto, come ammette tra le righe David Joy, bisogna ricordare che
“i buoni propositi facevano sempre così, lampeggiavano e luccicavano
e bruciavano come fuochi d’artificio. Ma alla fine tornava sempre il
buio”, e da lì i repentini cambi di prospettiva spiazzano e rileggono
tutti i cliché dell’atmosfera noir. L’azione di Ray genera una reazione
a catena che vede implicati sceriffi, squadre tattiche di quattro o
cinque contee diverse, agenti infiltrati, poliziotti corrotti e poveri
disperati che vivono di espedienti. Le montagne bruciano e “le decisioni
hanno un loro modo di sommarsi. I numeri ti sfuggono. Più passa il tempo,
più è difficile riconciliarsi”: la storia raccontata da David Joy
trova, sì, la sua dimensione nella rivalsa di Ray nel nome del figlio,
ma nella sua progressione si rapprende in una sfumatura filosofica,
con le fiamme che devastano e avvelenano l’aria accostate deliberatamente
alla distruzione senza speranza imposta dal mercato e dall’abuso di
sostanze. La metafora è palese e continua ad avere una sua logica. Sono
le riflessioni dedicate a Ray portano Queste montagne bruciano
a indagare sul senso proprio dell’uso e del consumo della vita, che
si addicono al suo protagonista, sono condivisibili a tutte le latitudini:
“Quando un uomo arriva alla fine di qualcosa, un conto è guardarsi le
mani e vedere che la propria vita è andata in pezzi, ma un altro conto
è guardarsi indietro e vedere che tutto è andato distrutto a causa sua.
Le vite possono andare solo in una direzione, e quello che rimane indietro
è una cosa potente e permanente”.
È in quei passaggi che David Joy, con una scrittura tersa e densissima
riesce a intravedere, come i suoi personaggi che scrutano attraverso
il fumo degli incendi, dove portano le loro scelte e soprattutto cosa
rimane: “Quando il tempo si accorcia, restano solo i ricordi, i racconti
sparsi come semi, le storie che ci tengono uniti in questo mondo. Possiamo
ripeterle, possiamo raccogliere i resti delle anime che sono esplose
all’infinito, ridare forma ai pezzi frantumanti e infondere nuova vita
in coloro che abbiamo amato e perduto. Mentre guardiamo nell’oblio e
vediamo svanire lentamente ciò che conosciamo, quelle storie saranno
le facce intorno a noi e le voci che ascolteremo quando verrà il nostro
momento”. Un romanzo potente che ha il coraggio di affrontare l’oscurità
di quel mondo parallelo dove una fiamma sotto il cucchiaio vale più
di tutto, ma l’inferno è ciò che gli sta attorno.
(Marco Denti)