Bob Dylan
Filosofia della canzone moderna [Feltrinelli,
pp.352]
L'indice
delle canzoni [clicca per ingrandire]
Nella Filosofia della canzone moderna (Feltrinelli,
traduzione di Alessandro Carrera), Bob Dylan cerca di spiegare
che “sono qualcosa di magico, le canzoni popolari. Cercare di farle
rientrare nel quotidiano non funziona mai. Non è un puzzle. Non ci sono
pezzi che si incastrano alla perfezione. Non si può creare un’immagine
completa che sia già stata vista”. Ne sceglie un bel mucchio e per ciascuna
ricostruisce o inventa (difficile cogliere la differenza) la storia,
almeno così come la vede e la sente dal suo punto di vista. Ci trovate
gli Who (My Generation) e Townes Van Zandt (Pancho And Lefty),
Mose Allison e Nina Simone, Dion e Santana, Roy Orbison e gli Allman,
e un sacco di altre cose, nascoste e scovate nelle canzoni. La sequenza
è rigorosamente caotica e segue soltanto l’idea di Dylan che abbiamo
provato a riassumere per sommi capi.
A come
amore: un argomento ricorrente nella Filosofia della canzone moderna
e (Dylan dixit) “se siete spettatori o astanti certe volte siete in
grado di capirlo o di seguirlo molto meglio di quelli che lo stanno
giocando”, e comunque sia il lieto fine non è garantito (anzi).
B
come Blue Suede Shoes, ovvero le scarpe più famose del mondo,
e Carl Perkins in un letto d’ospedale che vede cantare la sua canzone
da Elvis. La storia del rock’n’roll.
C
come (Johnny) Cash, che, secondo Dylan, “è un cantante gospel, o si
ritiene tale. Nel corso del suo itinerario si trasforma in Gargantua,
Finn MacCool e Jigger Jones, tutto in una volta. Poteva scavalcare i
fiumi. Sapeva posare i binari e domare i vitellini. È un narratore di
storie inverosimili, uno che divide le nuvole e beve nitroglicerina”.
Sia lodato.
D
come Detroit: si comincia proprio dalla Motor City ed è un bel punto
di partenza con Bobby Bare, una scelta che indica già tutto il senso
di un itinerario.
Elvis,
il colonnello Parker, Las Vegas, tutta una partita truccata perché “il
banco vince sempre”. Ricordatevelo.
F
come film. L’occasione è offerta da Saturday Night At The Movies
cantata dai Drifters, ma il cinema è il grande convitato di pietra della
Filosofia della canzone moderna al punto che Dylan conclude:
“C’è chi parla di rendere l’America grande di nuovo. Dovrebbe cominciare
dai film”. Sarebbe un’ottima idea (il condizionale resta d’obbligo).
G
come Grateful Dead. Dylan ne ha per tutti, ma ai Dead dedica un ritratto
particolare: “È difficile competere con un gruppo che ha tre cantanti,
due batteristi e sa fare armonie a tre voci. È una dinamo postmoderna
di jazz, musical e rock’n’roll”. Una definizione perfetta.
H
come honky tonk. Dai e dai, alla fine, Dylan torna sempre lì, tra la
polvere e il whiskey, alla ricerca del tempo perduto.
Istruzioni
per l’uso: “Una canzone è un’esperienza, non devi capire le parole per
capire l’esperienza, e cercando di capire il pieno significato delle
parole può distruggere la sensazione dell’esperienza”. Al limite, se
ancora hai dei dubbi, ci puoi scrivere un libro.
Jesse
James è la prova storica della differenza tra criminale e fuorilegge,
così elaborata da Dylan: “Un fuorilegge non gode della protezione di
nessun gruppo. È tagliato fuori dalla società. Non ha sponsor, non ha
famiglia e, dovunque va, ci va a suo rischio e pericolo”. I criminali
stanno al sicuro, di solito in giacca e cravatta.
K
come Key To The Highway. Da Jimmy Reed a Little Walter ad Alvin
Youngblood Hart, in un modo o nell’altro il blues si presenta alla porta,
puntuale, indiscutibile.
L
come London Calling: in pratica, il tributo ai Clash diventa
passaggio del testimone tra giovani anime ribelli. Un po’ tardivo, ma
va bene lo stesso: Joe Strummer avrebbe apprezzato.
M
come memoria perché “nella memoria tutto sembra accadere con musica”
diceva Tennessee Williams in Lo zoo di vetro, e deve averlo capito
anche Dylan.
Non
poteva mancare Ray Charles, il vero genio della musica americana, e
non manca Little Richard: quello che è giusto, è giusto.
O
come On The Road Again, e si capisce, una volta di più, come
mai per Dylan il palco sia sinonimo di casa: “Nessuno si arrabbia con
te perché non hai portato fuori la spazzatura, i tuoi conoscenti non
ti capitano in casa all’improvviso, i vicini non ti guardano con disapprovazione
ogni volta che cambia il vento. Il bello dell’essere sulla strada è
che niente ti preoccupa più”. E grazie a Willie Nelson, naturalmente.
P
come popular music, che, è utile ricordarlo, resta l’ambito delle escursioni
e dell’espressione di Dylan, anche perché ha detto: “Devo confessare
che la filosofia che c’è nella mia musica è accidentale”. Noblesse oblige.
“Qualche
volta le canzoni si presentano sotto mentite spoglie. Una canzone d’amore
può celare ogni sorta di emozioni, come rabbia e risentimento. Altre
canzoni hanno un’aria felice e contengono un profondo abisso di tristezza,
e alcune delle canzoni dal suono più triste possono contenere profondi
pozzi di gioia in fondo al cuore”. Amen.
R
come rime, che sono tutto ciò che serve, insieme alle storie e “le storie
sono semplici. Le conosciamo tutti. Ragazzo incontra ragazza. Ragazzo
perde ragazza. Ragazzo ruba croste di pane. Ragazzo viene ucciso a colpi
di arma da fuoco sulla piazza del paese. Ragazza uccide moglie del ragazzo.
Bambino dedica la sua vita a cercare assassino di suo padre. Ragazza
sposa ragazzo. Ragazzo mette città a ferro e fuoco”. Facile, no?
S
come (Frank) Sinatra, ovvero “il canto del lupo solitario, dell’alieno,
dello straniero e del nottambulo che cerca di cavarsela in ogni modo
e maniera e rinunciando all’amor proprio”. Dopo che gli ha dedicato
cinque dischi, l’avevamo capito anche noi. Onnipresente.
T
come (John) Trudell perché “le sue parole trasmettono con semplicità
la confidenza di una saggezza antica”. Non bisogna aggiungere altro.
U
come United States of America: una visione ininterrotta, un’idea, un
immaginario, la Promised Land di Chuck Berry, un’unica follia,
un grande sogno, la strada continua, la destinazione resta in gran parte
ignota, il party non è finito.
V
come versi. Una volta Dylan ha detto: “Non cercare mai di capire cosa
vuol dire. Se devi pensarci, allora non funziona”. Il segreto è tutto
lì.
W
come War, la canzone di Edwin Starr o Waist Deep In The Big
Muddy di Pete Seeger: la guerra raccontata per quello che è, senza
un filo di retorica, con una lucidità che manca ai più.
X
come xerografia, o fotografia, o l’intero apparato iconografico che
accompagna la Filosofia della canzone moderna. Roba di lusso.
Y
come Your Cheatin’ Heart. Il “suono di chitarra gracchiante che
si sente nei dischi di Hank Williams” è irraggiungibile ed è onesto,
per Dylan, ammetterlo.
Z
come (Warren) Zevon che Dylan omaggia dicendo: “Essere un autore non
è una cosa che si sceglie. È qualcosa che fai e basta, e qualche volta
la gente si ferma e se ne accorge. Warren è stato un autore fino alla
fine”. Indimenticabile.