Elmore Leonard
Tutti i racconti Western
Einaudi
pp.676



"Mi guardai attorno, in cerca di un genere che mi consetisse di imparare a scrivere e, allo stesso tempo, di vendere quello che scrivevo". Onesto prima di tutto, ma non prendete le parole di Elmore Leonard come il segnale di una letteratura di serie b, tutt'altro: maestro indiscusso di crime fiction, noir e altri generi e sottogeneri, amato incondizionatamente da Hollywood, che ne saccheggerà spesso e volentieri il catalogo, in Tutti i racconti Western lo scrittore americano avvalora le tesi di un mondo dimenticato e "operaio", lo stesso in fondo da cui usciranno autentici outsiders come Jim Thompson, lontano dall'Accademia e a maggior ragione palestra di fuoriclasse. Trenta racconti scritti in gran parte a cavallo fra gli anni '50 e '60 e pubblicati originariamenbte dalle più importanti riviste del settore, pulp magazine ante litteram (Argosy, Dime Western, Zane Grey's Magazine fra gli altri) che rappresentano un corpo unico fatto non solo di leggenda, ma anche di minuziose descrizioni storiche, di costumi, volti, paesaggi che costituiscono il codice indispensabile per decifrare i contorni misteriosi e senza tempo del West. Arizona, New Mexico, i confini di un mondo da civilizzare in cui si muovo figure solitarie, romantiche, che si fanno mito nella polvere del deserto, fra i massicci montuosi e le piste dei pellerossa. Ci sono fuorilegge impenitenti, cercatori d'oro, sceriffi, semplici soldati spesso collocati sullo sfondo dei ricordi della Guerra di Secessione, ma soprattutto il ricorrente scontro fra uomo bianco e Apache: mitologia, certo, ma raramente retorica, una scrittura vivissima, realista, che non abbraccerà forse il pessimismo e la crudezza del western rivisitato alla Cormac McCarthy, ma non è nemmeno consolatoria e benevola come i lungometraggi (Quel Treno per Yuma e I Tre Banditi qui presenti) che l'industria cinematografica prenderà in prestito.
(Fabio Cerbone)

Peter Fruit
Su e giù con Amy Winehouse
Kowalsky
pp.54



Il Su e giù con Amy Winehouse è quello di Peter Fruit per le strade di Londra, i pub, la sale dei concerti e gli uffici delle case discografiche, alla ricerca di una risposta. Chi è veramente Amy Winehosue? Un altro bluff del music business? Un vero talento del firmamento pop che ha rimesso al centro i suoni peccaminosi e sensuali del soul e del blues, le sfumature sensuali del jazz? Un'altra vittima dello star system che deve sempre consumare in fretta le sue creature? C'è un fondo di verità in ognuna di queste descrizioni forse, ma soprattutto ci sono aneddoti, interviste, dichiarazioni che colorano questa biografia sui generis con un taglio inaspettato e poco propenso a fare del personaggio Winehouse una sensazione del gossip. Certo, di mezzo si incastrano situazioni che seguono alla lettera le leggi dello spettacolo: le pruderie sulla vita privata, gli stravizi da rock'n'roll star e un generale senso dell'apparire che pare mettere sempre in secondo piano l'essenza della musica Peter Fruit però è un personaggio che al rock'n'roll e al suo immaginario ci crede e deve molto: viene dalla New York dei Talking heads e di Patti Smith, si è fatto un'idea molto vaga della situazione in cui il suo editore lo ha incastrato, ma prova a leggere questa trama con gli occhi più curiosi possibili. Ne esce un rocambolesco racconto che segue le gesta dello stesso autore e di riflesso quelle della protagonista, mettendo in mostra senza remore i meccanismi che generano una sensazione mediatica, le connessioni fra industria del disco e mezzi di informazione. Un circo in piena regola dentro il quale una ragazza, con tutto il talento possibile e immaginabile, schietta e semplice in fondo, diventa una parte dell'ingranaggio, con il rischio di essere stritolata. Istruttivo.
(Fabio Cerbone)

   

James Sallis
La strada per Memphis
Giano

pp.420


E' verissimo quello che scrive nella puntigliosa e dettagliata postfazione Tiziano Gianotti, editore che ha avuto l'intuizione di importare James Sallis ovvero come la musica popolare americana, in particolare le sue radici, "sia una componente fondamentale della cosmologia sallisiana. Si può dire che conferisca il mood alla sua narrativa, ma anche che costituisca una precoce e rivelatrice esperienza della forma aperta alle improvvisazioni, che diventerà l'elemento distintivo dei suoi romanzi". Sulla Strada per Memphis in modo determinante: echi della Carter Family, di Hank Williams, dei Chatmon Brothers, di Jim Jackson, di Blind Willie McTell dell'amatissimo Charlie Poole sottolineano i tormenti di John Turner (uno dei suoi personaggi "seriali"; l'altro, si sa, è Lew Griffin) costretto, suo malgrado, a tornare per le strade e nella notte di Memphis alla caccia di un fuggitivo e di un quarto di milione di dollari. L'evento, insieme all'arrivo di Val, una ragazza che s'insinua nelle solitarie abitudini di Turner, mette a soqquadro per l'ennesima volta la sua vita. Da quel momento i killer di mezza America firmano contratti in suo nome, ma le dense coloriture noir non devono trarre in inganno: La strada per Memphis è uno splendido romanzo a tutto tondo che racconta l'amarezza di perdere piccole gioie e grandi bellezza della vita, con la musica in cima alla lista.
(Marco Denti)

Alessandro Carrera
Parole nel vento
Interlinea
pp.228



Su Bob Dylan è fiorita una bibliografia sterminata, anche se spesso è alimentata da libri che sfiorano soltanto il cuore dell'argomento oppure che lo toccano con il gusto dell'apologia a tutti i costi e finiscono per essere autoreferenziali. Qui invece Alessandro Carrera (che negli ultimi anni ha messo ordine con coerenza e continuità nelle traduzioni e nelle analisi dylaniane) riunisce alcuni dei più importanti saggi sulla musica e sulla poesia di Bob Dylan, distribuiti nell'arco di quarant'anni e più di carriera e selezionati con un'attenzione ed un rigore scientifici. Si comincia con un profilo esplorativo di Nat Hentoff del 1964 per arrivare a una elaborata recensione di Modern Times a cura di Stephen Harzan Arnoff: tra questi due estremi cronologici un magma incendiario di interpretazioni, suggestioni, voli pindarici, elaborazioni per via di un'ossessione chiamata Bob Dylan. Da cui non sono immuni, tra gli altri, anche scrittori come Stephen Spender o critici come Frank Kermode. A differenza di gran parte delle voci della bibliografia dylaniana, la cui tendenza è avvitarsi alla propria ossessione le Parole nel vento partono, sì, da Dylan ma volano più libere nelle pieghe del linguaggio raccontano il folklore, le idee, l'America, Smokey Robinson, le murder ballads e la Beat Generation, l'apocalisse e l'undici settembre e una splendida battuta di Louis Armstrong (raccolta da Wilfrid Mellers) che da sola vale il prezzo.
(Marco Denti)

 


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