Sebbene ci si debba domandare,
con piena legittimità, cosa possa restare, nelle orecchie e negli occhi,
e cosa si possa aggiungere, in termini di racconto, di analisi, di approfondimento,
a un'epoca nella quale dischi risalenti a una quindicina di anni prima,
e peraltro già ristampati in precedenza, vengono fatti uscire per l'ennesima
volta in fantomatiche edizioni celebrative su vinile utili soltanto
a spennare gli appassionati meno selettivi, è pur vero che fa sempre
piacere imbattersi, per omaggiarlo oppure scoprirlo, nel nome del chicagoano
Tim Rutili, dai tempi di Friends Of Betty e Red Red Meat uno
dei più efficaci e coerenti tra i musicisti abituati, durante i Novanta,
al rimescolamento di vecchi blues, sbrindellature country e polverosi
medaglioni folk con una serie di accorgimenti elettronici e un armamentario
di rumori ambientali - in genere organici, ossia rintracciati attraverso
la pratica del field recording, anziché costruiti in studio - peraltro
invecchiati piuttosto bene.
Roomsound, oggi pubblicato su doppio LP (ma la musica
occupa soltanto tre delle quattro facciate disponibili), non fu l'esordio
vero e proprio dei Califone, la formazione con cui Rutili, il
percussionista Ben Massarella, il chitarrista Tim Hurley e un pittoresco
Brian Deck (qui impegnato a occuparsi dei synth e in seguito prolifico
produttore di Modest Mouse e Counting Crows tra gli altri) diedero l'addio
all'attività dei Red Red Meat dopo aver realizzato, con quella sigla,
almeno tre grandi dischi e un mezzo capolavoro (There's A Star Above
The Manger Tonight, distribuito da Sub Pop nel 1997); prima ci furono
due EP di media lunghezza (entrambi raccolti da Glitterhouse in Sometimes
Good Weather Follows Bad People [2000]) dove, non sembri troppo
snob affermarlo, Rutili e soci avevano già stabilito le coordinate del
periplo avant-folk - un viaggio a base di country-blues scorticati e
rintocchi trip-hop, ballate acide e sonnolenze dub, psichedelia distorta
e claudicanti sospiri sintetici - più affascinante, delizioso e scombinato
dell'intero decennio.
Lo stesso programma veniva ribadito, con ispirazione sempre notevole,
appunto in Roomsound, l'album in cui, tramite il tiro stonesiano
della sbilenca Wade In The Water,
il bricolage tra hip-hop e country di Bottles And Bones (Shade &
Sympathy), i campionamenti selvatici di St.
Augustine (A Belly Full Of Swans) o l'atmosfera trasognata
dell'interminabile New Black Tooth
(quasi otto minuti di meditazione neo-folk), i Califone confermavano
la maturità di uno stile sviluppato guardando sia alle musiche più oscure
e sinistre della tradizione appalachiana, sia a un Beck Hansen più depresso
e incarognito del prototipo.
Se gli inediti recuperati per l'occasione, fatto salvo l'apocrifo 16
Horsepower di una spettacolare Cluk Old Hen riempita di frastuono
industriale, nulla aggiungono (né ovviamente tolgono) al suono perfettamente
compiuto di Roomsound e alle sue sfumature sospese fra ironia, grottesco
e un senso di tragedia incombente ma mai lasciato deflagrare del tutto,
si potrebbe invece partire dalle nuove (più o meno) Cats Eat Coyote,
Slowness o Kissing Cousin Wikkan - la prima ridotta a
uno sbuffante strumentale da film horror di serie B, la seconda un valzer
desertico confezionato con gli oRSo del collega Phil Spirito, la terza
un sortilegio di stregoneria country-folk - che, in compagnia di altri
brani dal vivo, versioni alternative e paradossali remix, occupano un
intero LP dei due confezionati per la ristampa di Quicksand/Cradlesnakes,
all'epoca arrivato dopo il passo falso del noiosissimo Deceleration
One (2002), dedicato alle sonorizzazioni di pellicole per il grande
schermo, e composto da frattaglie jazz-acid-blues miracolosamente in
grado di risultare unitarie, e a modo loro pressoché "classiche", malgrado
la frammentarietà combinatoria delle premesse.
Benché meno spiazzante dei predecessori, anche Quicksand/Cradlesnakes,
scortato dal plumbeo country-rock di Vampiring
Again, dal pianoforte alla Sparklehorse (quindi fluttuante
in un mare di rumori) della sofferta Horoscopic.Amputation.Honey
e dalla melodia sognante e memorabile, come di prammatica sommersa da
un arsenale di rintocchi estranei, di Michigan
Girls, s'incaricava ancora una volta d'incorniciare con incantevole
sgangheratezza (perché viva e pulsante proprio in ragione del suo continuo
vacillare) la formula della band di Rutili, immortalando uno stato di
grazia che i nostri avrebbero ritrovato soltanto nel visionario Heron
King Blues dell'anno successivo. Nient'altro da aggiungere se non che,
trovandoci noi a vivere nei giorni del post-tutto, il post-songwriting
di questi due dischi usciti in origine nel 2001 (su Perishable) e nel
2003 (su Thrill Jockey), rappresentino essi, per chi legge, una riscoperta
o un nuovo amore, resta un gran bel sentire.