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Eric Andersen, Blue River. Live in Tokyo
Calvin Russell, Equal Love
[New Shot Records 2025]

Sulla rete: newshotrecords.com

File Under: live archives

di Fabio Cerbone (28/04/2025)

Le avventure discografiche dal vivo della New Shot Records si alimentano in questa primavera di una nuova messe di pubblicazioni, delle quali scegliamo in prima battuta di parlarvi di una coppia di live che ci hanno particolarmente colpito per la loro qualità, sia di incisione sonora, sia di contenuti. Non potrebbero essere più distanti fra loro, come il giorno e la notte, due songwriter divisi per stile musicale, storia personale, approccio alla canzone, ma in questo caso semplicemente accostati per l’intensità e la resa dei due concerti che sono stati aggiunti all’ormai vasto catalogo della New Shot. Acustico, elegante, intimo, quasi spirituale quello di Eric Andersen, che ripercorre l’intera scaletta del suo riconosciuto capolavoro del 1972, Blue River (e vi aggiunge altri cinque brani finali tratti dal suo vasto repertorio); elettrico, torrido, sorta di pietra grezza fatta di rock blues texano quello del compianto Calvin Russell.

Nel primo caso ci troviamo a Tokyo nel 2012, in occasione del tour per il quarantennale del citato album, il più celebrato, certamente uno dei più noti ed essenziali della lunga carriera di Andersen: Blue River rappresenta da una parte un momento irripetibile di una vicenda artistica complicata e sfortunata a seconda dei passaggi, dall’altra un simbolo di un’intera stagione di folksinger post-Dylan (anche se l’accostamento potrebbe giustamente irritare Andersen e chi come lui ha dovuto spesso rivendicare una propria legittima identità musicale), allor quando la stagione dei rimpianti e del ritiro aveva colto quella generazione, dopo i sogni e gli ideali, alla ricerca di sentimenti più personali. La formula con la quale Blue River e i suoi singoli episodi vengono messi in scena è quella del trio acustico, Andersen al piano, chitarra e armonica, la compagna Inge alle armonie vocali, e non ultimo Michele Gazich al violino, spalla ideale per tutto il concerto attarverso il lirismo e la delicatezza del suo strumento.

I nove brani dell’album non sono riproposti pedissequamente seguendo la sequenza originale, e il mischiare le sensazioni di ciascuna composizione è forse la scelta più intelligente per dare nuovo respiro alle ballate di Andersen. Queste ultime conservano i loro tratti fragili e poetici, quel loro peregrinare romantico che conduce direttamente al centro dell’anima dell’artista: nella prima parte con una presenza più manifesta del pianoforte (Blue River, Pearl’s Goodtime Blues, Wind and Sand, la magnifica Round the Bend), poi via viasciogliendosi nell’abbraccio folk della chitarra acustica, in dialogo costante con il violino di Gazich, sempre un passo di fianco e mai sovrastante rispetto alla conduzione principale dello stesso Andersen, la cui voce è un piccolo miracolo nel miracolo, conservata nel suo gesto intimo e confessionale. Ne siamo prova le versioni del classico More Often than Not (unico brano che in Blue River non era firmato da Andersen, bensì dal collega David Wiffen, presente anch’egli nel catalogo della New Shot con), Sheila e Is It Really Love At All, quest’ultima a concludere idealmente la celebrazione di Blue River dal vivo in Giappone, anche se, come anticipato, lo show si estende per altri cinque episodi, tra i quali vale la pena citare almeno le due perle finali, testimonianze del primo giovane Eric Andersen al Village, Violets of Dawn e la potente Thirsty Boots.

Blue River (Live in Tokyo) Round the Bend (Live in Tokyo)

Cambio di scena e di prospettiva sonora, come si diceva, per il ringhioso Calvin Russell di Equal Love, rovente concerto dell’aprile del 1997 andato in scena presso la Blues House di Milano, storico e purtroppo scomparso locale cittadino che in quegli anni ha spesso ospitato personaggi del circuito blues rock americano. Rientra perfettamente nella descrizione lo scavato e segaligno texano di Austin, scomparso nel 2011 a sessantadue anni dopo una vita dura e intensa, fatta di eccessi personali, vagabondaggi e guai con la legge che ne hanno in qualche modo amplificato la figura di “outlaw”, sebbene tutto l’affetto dimostrato nei suoi confronti fosse meritato per la qualità grezza, eppure vera e romantica della sua musica dagli orizzonti sabbiosi e avvolta nel richiamo della strada.

La prova di tutto ciò è colta magistalmente in queste sedici tracce dal vivo con un quintetto a fare scintille alle sue spalle, sezione ritmica nelle mani di Jim Starboard (batteria) e Scott Garber (basso), mentre sotto i riflettori finiscono le chitarre soliste di Spencer Jarmon (eroe locale di Austin, scomparso anch’egli pochi anni fa) e le tastiere di Jim Panek. Sospinto da questa formazione in gran spolvero, Russell, chitarra ritmica e voce arrochita come richiede il protocollo, attinge sia dal contemporaneo, omonimo Calvin Russell (al tempo pubblicato per la francese Last Call), con la presenza in scaletta di Desperation, Let The Music Play, I Want To Change To World, Nothin' Can Save Me, Time Flies e della cover di Mr. Mudd And Mr. Gold a firma Townes Van Zandt, sia da alcuni punti fermi della sua produzione precedente, come lo storico Sounds From The Fourth World (da lì provengono, per esempio, Last Night, One Meat Ball e You Don’t Know) e Dream of the Dog (Trouble e il finale di We Can Live Together, scritta insieme a un altro rinnegato texano, Jon Dee Graham).

È musica che affonda da una parte nella tradizione nobile dei troubadour texani (non a caso il concerto si apre con un’altra cover del mentore Townes Van Zandt, Rake) e dall’altra nella ruvida scorza di un rock’n’roll da bettole e honky tonk, con quella matrice blues elettrica che fa da collante (un modello nell’altra cover presente, il classico di Bobby Womack It’s All Over Now). È lo stesso Texas che è appartenuto, in declinazioni diverse, agli ZZ Top, a Johnny Winter, ai fratelli Vaughan o a Joe Ely: Calvin Russell vi aggiunge una poetica “fuorilegge” volutamente non raffinata, un canto ruvido e sinceramente marginale rispetto all’american dream, che per il musicista è stato semmai un incumbo e una lotta continua. Non a caso forse la sua storia ha affascinato e raccolto consensi, come spesso è accaduto per personaggi come lui, più in Europa che non in madre patria. Equal Love, con la sua impetuosa carica rock’n’roll da bar band, ne rappresenta l’ennesima conferma, qui ulteriormente valorizzata dal pregio della registrazione, candindando seriamente il disco a migliore testimonianza live della sua carriera.

Let the Music Play (da Calvin Russell, 1997) We can live together (da Dream of the Dog, 1995)