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Little Richard
Settin' The Woods On Fire
The Reprise Rarities

[Omnivore recordings 2024]

Sulla rete: omnivorerecordings.com

File Under: rock'n'roll animal


di Gianfranco Callieri (20/11/2024)

Sudato, truccatissimo, scintillante, sfrenato e pirotecnico, al giorno d’oggi Little Richard avrebbe tutte le carte in regola per imporsi come icona queer. Naturalmente, se solo la sfera LGBTQIA+ avesse quel senso dell’umorismo e dell’ironia di cui sembra invece essere drammaticamente priva. Ciò nonostante, l’interesse intorno al cantante della Georgia - prorompente tenore dalle sfumature femminee che fu tra gli architetti del primo, selvaggio rock and roll - non accenna a diminuire nemmeno a quattro stagioni di distanza dalla sua scomparsa, e infatti la californiana Omnivore programma in questo periodo le ristampe in LP di The Rill Thing del 1970 (fortunatissimo rientro in pista a base di funk e country-soul sudista), The King Of Rock And Roll dell’anno dopo (altra cornucopia di soul rockista), The Second Coming del 1972 (sottovalutata benché esplosiva parata R&B culminante nell’indiavolato strumentale Sanctified, Satisfied Toe-Tapper) e Lifetime Friend del 1986 (dallo spirito religioso ma dal passo inequivocabilmente r&r).

Ma se questi quattro dischi vengono rieditati senza variarne il contenuto, l’antologico Settin’ The Woods On Fire: The Reprise Rarities è stato invece concepito per incuriosire sia gli appassionati di vecchia data sia i neofiti: ai primi sarà magari sfuggito quando apparve, in versione assai limitata, per il Record Store Day del 2020, ai secondi darà l’occasione di approfondire un periodo non troppo noto, ma assai interessante, di uno degli "urlatori" più animaleschi e decadenti della fase aurorale del rock and roll. Composta da 13 tracce nessuna delle quali completamente inedita (tutte però sparpagliate su 5 o 6 dischi diversi, due dei quali fuori catalogo da un pezzo), Settin’ The Woods On Fire: The Reprise Rarities raccoglie stranezze, curiosità e parafrasi alternative di brani risalenti all’epoca in cui Richard (al secolo R. Wayne Penniman) si era legato alla Reprise - l’etichetta fondata da Frank Sinatra - dopo tre anni di inattività.

Da un certo punto in poi addirittura ricongiunto al produttore Robert “Bumps” Blackwell, che ne aveva supervisionato i primi successi targati Specialty, l’artista mostrò di non aver perso un grammo della carica, del boogie ipercinetico e della ferocia R&B di tre lustri prima. Qui, tra il thang alla James Brown di Money Is e il limaccioso funky-swamp della strumentale Mississippi, tra il country a tinte gospel di In The Name (Version 4, Take 3) e la fucilata alla Frankie Ford di una Open Up The Red Sea mandata in orbita dal sax tenore di Lee Allen, Richard sfoggia un istrionismo teatrale e travolgente che, mutatis mutandis, sembra quello delle prime tragicommedie punk di Pedro Almodóvar. Del resto, sebbene fosse "solo" la prima metà dei ’70, per l’inviperito rockabilly funkeggiante di Sneak The Freak avrebbero dato un braccio in tanti (e nel decennio successivo costoro sarebbero raddoppiati).

Alleluia amici, lasciate che Little Richard, sacerdote del ritmo, vi spettini capelli e contegno. Ne guadagnerete in felicità.