Steve Earle
Copperhead Road (Deluxe Edition)
[Geffen/ Universal 2CD  2008]

steveearle.com

 


Nella turbolenta carriera di Steve Earle - spesso e voletieri condotta sull'orlo di un precipizio prima umano e poi artistico, sempre e comunque dalla parte selvaggia della strada - è facile individuare alcuni punti di svolta, scatti repentini che ne hanno sancito la figura di autentico ribelle senza causa dell'american music. Copperhead Road non riceve dunque per puro caso il trattamento speciale di una deluxe edition, pratica che conoscerà anche i suoi abusi in questo strano periodo di confusione discografica, ma che altrettanto legittimamente consacra l'importanza del disco in questione nell'evoluzione dello stesso autore. Proprio di scatto artistico stiamo parlando, istante cruciale in cui Steve Earle alza i pugni, chiude il sipario sulla Nashville che lo aveva accolto come un nuovo salvatore "neo-tradiziolista" agli esordi di Guitar Town e sfonda le "linee nemiche" per abbracciare senza tentennamenti il suo volto più elettrico. Quasi cinquecentomila copie vendute al tempo, adottato da un pubblico e da una specifica critica rock che fino a quel momento era rimasta indecisa sul personaggio, Copperhead Road risuona ancora oggi come un tuono lungo il tragitto del cantautore texano: uno schiaffo elettrico dove l'anima da biker rozzo e spesso insofferente volta le spalle alle definizioni del "nuovo country", nient'altro che marketing studiato a tavolino, per imbracciare una corsa folle, quella che lo porterà nel giro di due anni alle ombre fosche di Hard Way, agli scontri con la stessa MCA e infine alla dipendenza tragica dalle droghe.

Nel mentre la scorza ruvida di Snake Oil, la schiettezza di intenti di Back to the Wall, l'epica outlaw di Devil's Right Hand, così come le speculari, romantiche e agrodolci Even When I'm Blue e Nothing but a Child risuonano oggi più che mai il vero turning point del prima ideale scorcio di carriera di Steve Earle. È la sua crescita in pubblico, la maturità acciuffata dopo la sfacciataggine giovanile di Guitar Town e del coevo Ext O. I Dukes, la sua storica backing band, sono alla sfascio, Bucky Baxter e Ken Moore reggono ancora per poco, mentre Steve vola a Memphis per registrare il disco imbarcando nuovi musicisti e aprendosi alle collaborazioni con Tellirude (il gruppo newgrass di Sam Bush) e Pogues (nella commovente canzone anti-militarista Johnny Come Lately), spruzzando di hillbilly e fragranze irish un disco in gran parte votato al rock'n'roll. Copperhead Road, il brano, è un inno che ruggisce negli anni delle "Reaganomics", fra fabbriche in chiusura, agricoltori in rivolta e reduci sempre più schiacciati dai loro incubi.

Tutto il disco sembra abbracciare la filosofia di quello che in molti allora chiameranno "heartland rock", onesto con se stesso e pronto alle barricate, unendosi idealmente sia alla delusione che alla lotta racchiusi nelle opere dei colleghi John Mellencamp e Bruce Springsteen. Copperhead Road sparge infatti lungo i suoi solchi i semi della disillusione, raccontando di vite alla deriva, errori di gioventù, rimorsi ma anche voglia di riscatto. Non è un caso dunque che alla tournè incendiaria che farà seguito, mediamente tre ore di show a sera, Steve Earle scoverà un punto di incontro con il songbook di Springsteen. Sintomatico che a dividere idealmente il secondo cd di questa edizione deluxe venga collocata una versione rispettosa e appassionata di Nebraska (al tempo spesso accompagnata da State Trooper) colta in quel periodo. I restanti sedici episodi sono catturati da due differenti esibizioni, prima e dopo il ciclone Copperhead Road. Undici i brani in scaletta tratti dallo show del 1987 a Raleigh, North Carolina: spuntano le prime bozze di Johnny Come Lately e Devil's Right hand, attorniate da gran parte del materiale contenuto nei primi due lavori di Steve.

I Dukes hanno ancora in bocca il sapore della polvere texana, un rock delle radici imbevuto di country fuorilegge (anche una cover di Wheels di Gram Parsons) e qualche accento rockabilly (My baby Workships Me, I Love You too Much) e honky tonk (Week of Living Dangerously) che Earle sembra portarsi appresso come un lascito artistico dei suoi primi amori musicali. Le cinque successive tracce raccolte da una esibizione a Calgary del 1989 paiono già cambiare le carte in tavola, lanciandosi verso quel suono rock potente che sarà poi colto nel live ufficiale Shut Up and Die Like an Aviator. Qui fa anche la sua prima comparsa la vivida riedizione di Dead Flowers degli Stones, rallentata e sofferta grazie alla voce aspra del protagonista, già segnato forse dagli abusi. La possibilità dunque di cogliere Steve Earle dal vivo in quegli anni di strepitosa consapevolezza artistica è un buon incentivo per i vecchi fan: le 24 pagine dle booklet con le note di Chris Morris e le numerose foto sono infine l'invito per chi non avesse mai preso in considerazione Copperhead Road, disco "maudit" per eccellenza nella discografia del nostro.
(Fabio Cerbone)






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