Crosby, Still, Nash & Young CSNY 1974 [Rhino
3Cd + Dvd 2014] www.csny.com
File Under: Younger than yesterday
di
Gianfranco Callieri (17/11/2014)
Decisamente, il 1973 e,
ancora di più, il 1974, non erano state, per i membri dei CSNY,
due stagioni piacevoli. Eppure, soltanto nel biennio precedente, allorché
il loro secondo (terzo senza la "Y") album collettivo - il doppio live
4 Way Street (1971) - aveva stazionato a lungo in vetta alle classifiche,
quasi subito accompagnato dal primo lavoro a quattro mani dei soli David
Crosby e Graham Nash (1972) e, nella stessa annata, dal Manassas costruito
da Stephen Stills intorno a membri di Byrds, Clear Light e Rolling Stones,
nessuno si sarebbe sognato di contestargli il titolo di "supergruppo"
più acclamato del pianeta. Meno che mai dopo aver constatato come, a
pochi mesi dalla sua pubblicazione, Harvest, quarto album solista di
Neil Young, fosse diventato l'album più venduto del 1972 in tutti gli
Stati Uniti. I problemi, però, erano cominciati proprio intorno alla
fine dello stesso anno, quando la colonna sonora dell'esordio di Young
dietro la macchina da presa, Journey Through The Past - un'accozzaglia
di brani dal vivo, prove di studio e spezzoni di classica indecifrabile
quanto l'intreccio tra riprese di concerti e sequenze oniriche della
pellicola omonima - era rimasta a prendere polvere sugli scaffali dei
negozi di dischi (difatti non viene ristampato da allora) e Crosby,
momentaneamente riunitosi ai Byrds per produrne l'eponima rentrée (Byrds,
1973), si era chiuso in uno stato di crescente insofferenza innescato
dalle pessime recensioni guadagnate dal pur remunerativo album di costoro.
Nel gennaio del 1974, anche Wild Tales, secondo parto solista
di Nash dopo il promettente Songs For Beginners (1971), aveva segnato
una battuta d'arresto e, al pari della continuazione del progetto Manassas
(Down The Road, 1973, raccogliticcio, sì, ma non così tremendo
come vuole la vulgata), si era procurato un'incondizionata lapidazione
critica.
Benché la stella dei CSNY sembrasse non brillare più con la stessa
intensità, Crosby e Nash, anche per sostenere in senso emotivo il collega
(sconvolto per i prematuri decessi per overdose del chitarrista Danny
Whitten e del roadie Bruce Berry), parteciparono a diverse date del
tour di Young da cui l'artista trasse l'atipico live Time Fades Away
(1973), testimonianza di "audio-vérité" (sono parole di Young) interamente
composta da brani inediti, molto amato dagli appassionati ma detestato
dal titolare. Terminato il giro di concerti, i tre, richiamato Stills
e supportati dalla sezione ritmica (Johnny Barbata ai tamburi, Tim Drummond
al basso), nonché dall'ingegnere del suono (Elliot Mazer), di Time Fades
Away, si ritirarono alle Hawaii prima, e a San Francisco dopo, per provare
quelli che avrebbero dovuto essere i pezzi di Human Highway, tappa discografica
poi abortita le cui canzoni, nel corso degli anni, sarebbero state sparpagliate
lungo i rispettivi lavori solisti.
A convincerli a riprovarci, perlomeno dal vivo, ci pensò il promoter
Bill Graham, da poco riuscito a riportare Bob Dylan di fronte
al pubblico in una (trionfale) tournée estesasi in 40 diversi palasport,
garantendogli un lungo percorso attraverso gli stadi della nazione e
guadagni complessivi non inferiori al milione e mezzo di dollari ciascuno,
offerta che i nostri non seppero né vollero rifiutare. Accanto a loro,
un gruppo essenziale composto da Drummond, Russell Kunkel (batteria)
e Joe Lala (percussioni), assieme ai quattro ogni sera impegnati a scontornare
un set di 44 canzoni circa e una scaletta quasi invariabile in cui,
a una prima ora full-band, ne seguiva un'altra semi-acustica e infine
un'altra ancora di nuovo elettrica.
Nonostante gli spettatori, accorsi numerosissimi, continuassero a guardare
CNSY come gli alfieri in musica di aspirazioni hippie costruite su fiori
nei cannoni, liberi amori e libera marijuana, il tour si rivelò un gigantesco
scontro di personalità condito da camere d'albergo devastate, consumi
record di cocaina e comportamenti all'insegna della dissolutezza. Che
nessuno dei coinvolti conservasse un buon ricordo dell'esperienza apparve
chiaro fin da subito, non appena i ben 9 concerti registrati in previsione
di un eventuale album dal vivo vennero richiusi senza troppi ripensamenti
nei cassetti dei musicisti e delle loro etichette.
Oggi, però, a quarant'anni di distanza, questo quadruplo CSNY
1974, prodotto da Graham Nash e Joel Bernstein, ci dice ancora
una volta di come l'animo degli artisti spesso non sia il miglior giudice
della qualità, o del valore storico, di un prodotto, perché i tre cd
e il dvd qui in esame - selezione strepitosa delle trenta date USA,
chiuse il 17 settembre dello stesso anno alla Wembley Arena di Londra,
del tour poc'anzi citato - non solo disintegrano senza possibilità d'appello
il pur glorioso 4 Way Street, ma letteralmente risplendono in
virtù di requisiti acustici destinati a mandare in visibilio gli audiofili
di ogni latitudine. È stato Young, secondo il resoconto del Nash produttore
e responsabile del progetto, a "pretendere un audio che riproducesse
il più possibile l'esperienza live": accontentatolo ricorrendo al formato
192 kHz / 24-bit, Nash e la Rhino sono riusciti a confezionare un album
magnifico sotto il profilo delle canzoni (e qui c'erano pochi dubbi)
nonché, particolare davvero non trascurabile, caldo, emozionante, energico
e febbrile nel restituire le dinamiche di un'esibizione dal vivo.
A trarre giovamento, dal
suddetto trattamento sonoro, sono soprattutto i brani elettrici, e questo
nonostante il secondo cd, essenziale dal punto di vista della strumentazione
benché ricco di suggestioni, mostri comunque un Nash in grande spolvero
(ascoltatelo cesellare, senza il minimo cedimento, i deliziosi ricami
folk-pop di Teach Your Children
e Our House), lo zeitgeist americano
del periodo sintetizzato nel minuto e mezzo per voce e banjo di Goodbye
Dick (un grido di esaltazione per le dimissioni dell'allora presidente
Richard "Dick" Nixon), l'amarezza folkie di una sempre stupenda Long
Time Gone, le armonizzazioni pop (con l'immancabile ritocco
spagnoleggiante) di Suite: Judy Blue Eyes, un omaggio ai Beatles
(Blackbird), un mazzo di struggenti folk-rock tipicamente younghiani
(Only Love Can Break Your Heart, Long May You Run, Mellow
My Mind, Old Man), l'acquatico folkeggiare della romantica
Guinevere (già ripresa da Miles
Davis nel suo Circle In The Round ['70]) e quello accarezzato da soffici
brezze marine dell'altrettanto intensa The Lee Shore.
Ma l'attenzione dell'ascoltatore, e non potrebbe essere altrimenti,
viene subito catalizzata dallo Stills gigantesco di una travolgente,
caraibica Love The One You're With,
poco dopo doppiata, in furore e trasporto, dal funk-jazz di My Angel
e dalle scariche di una lunghissima Black Queen
quasi ai confini dell'hard-rock e di certo più affine ai grovigli chitarristici
di Grand Funk e Jeff Beck (Stills alzava di proposito la manopola del
suo volume per coprire, con la propria sei corde, gli strumenti degli
altri) che al country-soul dei quasi coevi Manassas. Le atmosfere nervose
e surreali del Neil Young solista, invece, dilagano, oltre che negli
otto minuti di pura psichedelia dell'inedita Pushed It Over The End,
nelle spettrali eppure avvincenti dilatazioni rock di Don't Be Denied,
di Revolution Blues (un incubo a
occhi aperti), di un'acidissima, tormentata On The Beach e, in
modo particolare, nella ferocia della conclusiva Ohio,
forse la versione più incandescente mai ascoltata di uno degli "inni"
politici (dedicato ai quattro studenti ammazzati dalla polizia alla
Kent State University) più celebri e giustamente celebrati della storia
del rock.
I detrattori di Nash, poi, dovrebbero ascoltare la Military
Madness catturata nel terzo cd, dove una simpatica (e innocua)
marcetta in origine contenuta su Songs For Beginners si trasforma in
un'impetuosa cavalcata errebì degna dei ruggiti di Van Morrison. Infine,
Crosby. A suo modo un'icona, popolarissimo negli States ancorché, per
sfortuna nostra, mai prolifico e decisivo, fatta eccezione per il capolavoro
If I Could Only Remember My Name ('71) e per l'ultimo, stupendo
Croz ('14), quanto l'immenso talento ricevuto in dote, e sprecato
tra droghe, crisi e continue terapie di riabilitazione, gli avrebbe
consentito. Nel primo episodio della quinta stagione dei Simpson, intitolato
"Il quartetto vocale di Homer", quando l'ubriacone del paese, Barney
Gumble, si trova a ricevere un Grammy proprio da Crosby, lo sentiamo
prorompere in un estasiato: "Sei il mio eroe!", al che l'artista gli
domanda: "Ti piace la mia musica?" e Barney, stupefatto: "Sei un musicista?".
Questo per dire quanto la fama, anche americana, di Crosby sia in effetti
più legata alle leggendarie dipendenze che non alla musica.
La quale musica, tuttavia, come certificano una Déjà
Vu onirica e visionaria o le dilatazioni strumentali di un'accorata
Long Time Gone, sapeva e sa essere espressiva quanto pochissime
altre, giacché persino in un cofanetto dove scegliere un pezzo a scapito
dell'altro è impresa ardua (e ingenerosa), resta difficile non spalancare
la bocca di fronte alla rabbiosa trascrizione di una Almost
Cut My Hair tutta strappi, scoppi e sussulti, in cui il nostro
sussurra, impenna e poi abbassa la voce fino a bisbigliare, mentre la
proverbiale "bandiera freak" della canzone viene fatta a brandelli dalla
sanguinaria battaglia tra la Firebird di Stills e la Les Paul di Young.
Se non il brano migliore del lotto, ma solo perché sarebbe assurdo voler
gerarchizzare un simile ben di dio, Almost Cut My Hair è di sicuro quello
più "rappresentativo" di un tour capace, in tutte le sue tensioni e
imprecisioni umane (bene hanno fatto, i nostri, a non correggere nemmeno
una singola stonatura), di descrivere con esattezza il tracollo degli
ideali del decennio precedente e lo stadio di febbricitante paranoia
innescata da due traumi nazionali chiamati Vietnam e Watergate.
Ciò non significa, sia detto per inciso, che tra le note di CSNY
1974 alberghino soltanto disillusione e ombre di sospetto. Anzi.
È solo la grandezza delle opere in grado di trattenere e riconsegnare
lo spirito del tempo: sono più giovani, oggi, di quanto non lo fossero
ieri.