Nata
a Detroit nel 1927, Barbara Dane è uno di quei (grandi) personaggi "difficili"
da classificare, se non genericamente come folk singer, di grande ispirazione
per molti artisti di varia fama. Nella sua carriera ha incontrato e collaborato
con musicisti, cantautori e interpreti folk, blues, jazz, mantenendo sempre un
profilo personale di grande coerenza e pagando di suo (non solo generico ostracismo)
l'essere anche artista impegnata, mettendo i diritti civili - nel senso più ampio
della definizione - in primo piano negli impegni concertistici. Questo già nei
'50 e soprattutto nei '60, durante le manifestazioni socio-razziali - fino a guadagnarsi
la copertina della rivista Ebony: prima donna bianca -, e quelle di protesta contro
la guerra in Vietnam. Attenta quindi a dare significati mirati al suo repertorio,
e a valorizzarli nelle occasioni specifiche, senza trascurare i riferimenti popolari,
folk e blues.
Il tutto testimoniato pure attraverso una serie di album
(qualcosa di più di una dozzina), a partire da Trouble In Mind ('59), per
arrivare, un paio d'anni fa (cioè da novantenne!), a Throw It Away, condiviso
con l'ottima pianista Tammy Hall, dove mostra una sorprendente forza interpretativa,
ancora una volta con repertorio che va dal blues al folk, e dintorni. La Smithsonian
Folkways ne celebra l'arte, pubblicando materiale sia in forma di cd, che vinilica,
in onore degli oltre sessant'anni(!) di carriera discografica, anche con numerosi
inediti, tutt'altro che riempitivi. Ne risulta un'opera impeccabile, forte di
38 brani - vari quelli noti, che hanno fatto parte del repertorio dei più differenti
interpreti -, di cui ben 13 inediti (e che inediti!). Molto il materiale dal vivo
e soprattutto di una "varietà" di contenuti e riferimenti che rende giustizia
alla classe della Dane. E' un'immersione in un clima variegato - che tocca nomi
quali Woody Guthrie, Bob Dylan, Lightnin' Hopkins, Pete Seeger -, che passa da
canzoni di protesta e denuncia soprattutto nel primo cd (Deportees,
Workin People's Blues, Mill Worker, Working-Class
Woman), al più ampio respiro degli inediti, nel secondo.
Si
parte proprio dalla classica Trouble In Mind,
folk-blues con tanto di armonica, a indicarne riferimenti ed epoca, cui segue
Basin Street Blues, che "giustifica" il paragone lanciato dal critico jazz
Leonard Feather -, alla potenza espressiva di Bessie Smith. Un clima fatto (anche)
di classici, fra protest songs (Study War No More, Only A Pawn,
We Shall Not Be Moved), blues pianistico
(Mama Yancey's Advice), rurale (Walking Blues), puramente chicagoano
(Good Morning Blues), spirituals (This Little
Light of Mine) e... Non è finita. Altro "bonus" consistente di questo
omaggio è la riproposta in vinile di Barbara Dane and The Chambers Brothers,
album del '66 (ristampato in cd nel 2005), con le note della stessa artista, che
racconta di aver cercato più volte di incidere col quartetto mississippiano, col
quale si era esibita in alcune occasioni. Qui siamo alle soglie della pur relativa
fama che sta per arrivare per gli eclettici e sottovalutati fratelli (scarsi i
successi commerciali). Nove brani, a partire dalla ballad It
Isn't Nice (scritto dalla Dane con Malvina Reynolds), cui segue lo
splendida rivitazione "politica" del traditional You've Got To Reap What You
Sow, con canto e controcanto, in uno stile che caratterizza altri brani, tra
cui la pregevole ballad Pack Your Sorrows (Dick Farina), l'intensa, meditata
e orgogliosa We'll Never Turn Back e lo spiritual
Come By Here (splendide le voci dei Chambers!).
Prezioso, genuino
ed essenziale nella sua trama sonora, così come lo sono il packaging e le foto
di copertina. Hat off Barbara!