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21/06/2006 |
Se al mondo ci fosse una giustizia,
e purtroppo sappiamo che non c'è o che si tratta, nella migliore delle ipotesi,
di una signorina molto volubile, le recenti ristampe dei primi tre album di Dirk
Hamilton avrebbero goduto di una vasta eco sulla stampa, sarebbero uscite
in lussuosissimi formati SACD o dvd-audio rimasterizzati con sistemi HDCD. Le
cose, come sappiamo sono andate diversamente, e i summenzionati album, You
Can Sing On The Left Or Bark On The Right (1976), Alias I ('77) e Meet
Me At The Crux ('78), hanno visto la luce del digitale soltanto grazie
alla disponibilità di un'etichetta nostrana e agli sforzi indefessi di un drappello
di fans italiani che nel corso degli anni hanno dimostrato nei confronti di Dirk
una dedizione e una lealtà paragonabili a quelle dimostrate da un Biscardi per
il capostazione Moggi, per di più senza nemmeno ricevere in regalo orologi da
svariate migliaia di euro. Meet Me At The Crux, uscito originariamente per l'Elektra,
è l'ultimo anello della trilogia ed è anche il miglior disco dell'autore, che
avrebbe abbandonato il mondo della musica dopo l'ennesimo insuccesso (Thug
Of Love, '79) e vi avrebbe fatto ritorno solo dopo diversi anni, prima con
qualche nastro autoprodotto e poi con altri tre album finanziati, a partire dal
1990, dall'Appaloosa di Franco Ratti. Ma questa è un'altra storia, artisticamente
meno interessante sebbene mai men che decorosa, e non è il caso di evocarla qui
se non per ribadire che il nostro paese ha stretto con la musica di Dirk Hamilton
un legame del tutto particolare. Mi accodo volentieri alla tradizione invitandovi
caldamente all'acquisto di un album che merita il titolo, elargito da Rolling
Stone, di "gemma sconosciuta degli anni '70" e pure qualcosa in più. Se i lavori
precedenti avevano infatti annunciato e stabilito le coordinate basilari dell'artista,
capace di muoversi sulle stesse direttrici di Bruce Springsteen, di Bob Dylan
e degli Stones arricchendole con tocchi di gospel, r&b (tonnellate di r&b) e persino
reggae e facendo confluire il tutto in lunghe cornici visionarie degne del più
ispirato Van Morrison, Meet Me At The Crux si dimostra in grado di portare questo
cerchio musicale alla sua quadratura, grazie anche a canzoni mai così organiche,
compiute e trascinanti. Nello shuffle indiavolato di Mouth Full Of Suck
c'è addirittura l'organo di Bill Payne dei Little Feat, ma non è davvero
di ospitate altisonanti che abbisognavano queste canzoni per essere notate: la
struggente poesia di Billboard On The Moon, l'errebì travolgente di Welcome
To Toyland e Heroes Of The Night o quello tutto fiatistico della favolosa
How Do You Fight Fire?, il rock springsteeniano della title-track e il
ciondolante commiato soul di Every Inch A Moon, così come l'epopea doo-wop
di Tell A Vision Time, meritavano soltanto un pubblico meno distratto dalla
deflagrazione del punk e maggiormente disposto ad appassionarsi e a commuoversi
per un pugno di brani sublimi, talmente vividi e squillanti da assomigliare più
a un piccolo concerto che a un prodotto di studio. Gli acquirenti di questa riedizione
potranno godersi anche il mid-tempo tra country e Stones di The Condo Row,
il folk-rock palpitante e semiacustico della bellissima, dylaniana Santa Cruz
Mountain Monologue e il tour de force alla Van Morrison di una spiritata Don't
Laugh At Me Louise, una outtake di Alias I che sarebbe stato delittuoso non
conoscere. Meglio tardi che mai, come si dice, e mi auguro che il motto, una volta
tanto, valga anche per chi Dirk Hamilton non lo conosce o l'ha sempre sottovalutato.
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