Figlio di cotanto padre e altrettanto “padre”
lui stesso, dal fluido susseguirsi delle generazioni al tempo in cui
album come Fathers And Sons di Muddy Waters circoscrivevano il
campo, John Hammond Jr. acquisisce oggi quella paternità che
esula dal colore della pelle e ne restituisce la testimonianza ai nuovi
“figli”, che lo annoverano in quella fratellanza blues di cui si è fatto
portavoce in più di cinquant’anni di musica. Dopo la pandemia sceglie
così il suo “buen retiro” e il rammarico è di non averlo visto dal vivo,
di passaggio anche da questi lidi, a renderci più volte complici della
magia del vero blues, presenti ai suoi concerti. Magica alchimia d’artista
e pubblico che è solo nei live, e che questo disco ci ridona propizia,
iniziativa della New Shot Records di Renato Bottani a ripescare le “chicche”
che dal vero, ci raccontano storie degne di periferie musicali, ma di
certo un po’ più nostre.
Sicché Birthday Blues Bash viene registrato dallo stesso
Bottani nella Sala Marna di Sesto Calende, dove John Hammond suonò il
12 novembre del 2001, grazie all’intermediazione del compianto promoter
Carlo Carlini, in una data che questo disco ci restituisce intensa,
per carica e resa sonora. “Buonasera..” – saluta Hammond, con accento
anglofono – “.. io sono molto contento di essere qui..” – e neanche
troppo velatamente aggiunge, senza retorica: “..for a great night”!
– E’ proprio quanto si rivela la serata, alla vigilia del suo cinquantanovesimo
compleanno, in cui a farla da padrone sono ancora una volta la sua chitarra,
la ritmica del piede, la sua armonica e la sua voce, nera come i padri.
Assieme, i loro classiconi blues con cui è cresciuto, alla scuola di
papà, che contribuì a far scoprire al mondo proprio alcuni degli stessi
bluesmen che per primi ce li hanno tramandati.
Hammond Jr. infila roba come Phonograph Blues di Robert Johnson,
così pure Hard Times di Skip James
o ancora Come On In My Kitchen dello
stesso Johnson e, sul finale, anche Walking Blues. Ci sono poi
la scatenata Mother In Law Blues di Junior Parker o Homeless
Blues di Lil’ Son Jackson, insieme ad altre scelte più ricercate
a seguire, tipo lo Sleepy John Estes di Come Day Baby Blues,
sofferta, e Fond Love di Jimmy Reed, divertita. Con altre hit
come I Wish You Would di Billy Boy Arnold o Preachin’
Blues di Son House, penultima, John Hammond ha però regalato
menzione d’onore tra i padri intercalando tra le loro songs nientemeno
che alcuni pezzi di Tom Waits (i cui blues propose per intero già nell'album
Wicked Grin, di quell’anno): ecco allora, nel corso della serata,
Get Behind The Mule, per esempio,
ipnotica; Gun Street Girl; la ballad Fannin Street e,
in chiusura, Heartattack And Vine,
rinforzata da un bel piano di Radoslav Lorkovic e dal mandolino di Paul
Rigby, oltre a un violinista misterioso (da cui un appello..) come si
addice a ciascuna registrazione blues che si rispetti. Quello che è
anche Birthday Blues Bash, oltre a essere documentazione storica
di bei concerti di casa nostra, continuità auspicabile per la stessa
“mission” della neonata New Shot Records.