Jerry Jeff Walker No Leavin'
Texas 1968-82. The Classic Jerry Jeff
[Raven/ IRD 2015 2Cd ] www.ravenrecords.com.au
File Under: gipsy songman
di
Fabio Cerbone (11/07/2015)
Nell'ideale
pantheon degli autori più "progressisti" che la canzone country americana abbia
conosciuto, Jerry Jeff Walker occuperà sempre uno spazio importante, magari
poco riconosciuto al di fuori dei confini texani di adozione e senza dubbio meno
chiacchierato di altri giganti del genere, tuttavia centrale nella definzione
e soprattutto nella diffusione di quel lunguaggio al confine tra roots, canzone
d'autore, rock e tradizione. Trentanove brani per quasi quindici anni di carriera
sono la testimonianza di questo lascito, per la prima volta riuniti dall'australiana
Raven sotto l'ombrello di No Leavin' Texas 1968-82. The Classic Jerry Jeff,
sostanziosa raccolta che attraversa il periodo più brillante dell'artista
e i suoi diversi passaggi di etichetta, testimoniando lo sviluppo di uno stile,
la visione musicale e l'assunzione di quel ruolo guida, anche grazie alla capacità
di interpretare il catalogo di molti compagni di avventura. Infatti, non è stato
soltanto un ottimo songwriter Jerry Jeff Walker, bensì un generoso cercatore d'oro,
che portando al successo le canzoni di Guy Clark o Rodney Crowell, di Billy Joe
Shaver o Willie Nelson, ha contribuito a costruire le solide fondamenta del country
rock fuorilegge, di quel "progressive country" come lo definivano all'epoca, che
prendeva ispirazione tanto da Hank Williams quanto da Bob Dylan, che univa la
controcultura e l'atteggiamento vagabondo e hippie dei primi seventies con l'eredità
della tradizione di Nashville, rivista e corretta secondo i tempi più anti-conformisti.
Walker da questo punto di vista è stato una sorta di epitome, tanto più
per un ragazzo nato ai piedi delle Catskill Mountains, nella ragione a nord di
New York, e finito ad Austin nei primi anni settanta, come se avesse trovato la
sua vera casa dopo stagioni sulla strada. Ronald Clyde Crosby, questo il vero
nome all'anagrafe, sboccia artisticamente come folksinger: in lui la lezione di
Dylan e le canzoni del Kingston Trio, il folk revival e tutto il fermento delle
coffee house della Grande Mela, lì dove la sua carriera ha inizio, prima insieme
ai Circus Maximus (un disco per la Vanguard), poi con l'invenzione del personaggio
Jerry Jeff Walker, pseudonimo che adotta sul finire dei sixties e con il quale
debutta nel 1968 per la ATCO. Siamo in pieno diluvio post-dylaniano e i primi
episodi di questa antologia testimoniano il filo rosso che lega le ballate di
Walker a quel milieu artistico. È Mr. Bojangles,
canzone e album ominimo, ad aprire giustamente le danze: siamo già nella leggenda
e resterà per sempre la canzone più celebrata della sua produzione. Mille le versioni,
diversi i successi ottenuti da altri (Nitty Gritty Dirt Band i primi a portarla
in alto in classifica), ma l'originale resta di Jerry Jeff e contiene in nuce
la sua idea di american music, quell'anima che guarda alla lezione della beat
generation. No Leavin' Texas non si sofferma in maniera capillare su questo primo
scorcio di carriera, pescando però piccoli gioielli folk rock da lavori quali
Driftin' Way of Life (la baldanzosa title track, che anticipa la svolta
country degli anni successivi) e Bein' Free (da qui arrivano I'm
Gonna Tell on You e Stoney).
Walker
collabora con Tom Dowd e Jim Dickinson, come dire l'essenza della produzione roots
dell'epoca, coinvolge nelle sessioni David Bromberg e Charlie McCoy (guarda caso
con lo stesso Dylan) nonchè altri musicisti della crema folk di quella
stagione newyorkese, ma sente il proprio spirito votato al cambiamento, alla natura
da hobo fatta crescere lungo le vie d'America, in una specie di sentimento zingaresco
(da qui l'appellativo di "Gipsy Songman"). Il richiamo del Texas e di
Austin in particolare è inevitabile, passando prima per Nashville e New Orleans,
dove Jerry Jeff Waker si reinventa letteralmente una vita e una band (spunta il
primo nucleo di quella che sarà la ribattezzata The Lost Gonzo Band). È
uno strano caso, che da straniero in patria diventa suo malgrado uno dei simboli
della scena country rock texana, trainando con sé un intero movimento. No Leavin'
Texas pesca a piene da questo tempo di mezzo, una scelta giustificata, partendo
dallo splendido omonimo album del 1972 (già ristampato singolarmente dalla Raven),
lì dove That Old Time Feeling e L.A. Freeway
inaugurano l'innamoramento per la produzione di Guy Clark (in seguito arriverà
anche la leggendaria Desperados Waiting For A Train),
al fianco delle originali Hill Country Rain
e Charlie Dunn. Il disco è un successo regionale e apre idealmente il momento
più fertile e fortunato di Jerry Jeff Walker, le cui esibizioni con la Lost Gonzo
Band accendono la miccia dei club di Austin e dintorni: insieme agli outlaws per
eccellenza Willie Nelson e Waylon Jennings, con la nuova sensibilità poetica di
Guy Clark e Townes Van Zandt e una sua inclinazione più gioviale e votata all'ironia,
Walker si inventa un sottogenere, una country music riformista che attinge alle
armi della provocazione e del sarcasmo, come quando porta al successo il brano
dell'allora sconosciuto Ray Wylie Hubbard, Up Against
The Wall, Redneck Mother.
La canzone fa parte di Viva Terlingua,
album dal vivo che assurge a piccolo mito del genere, registrato a Luckenbach,
Texas, una notte di agosto del 1973. Gravitano intorno a Walker le figure dei
musicisti e autori Gary P. Nunn, Bob Livingston, John Inmon, David Bromberg, una
famiglia sgangherata che tra party, concerti e bevute spropositate segna l'apice,
anche commerciale, dell'artista. Il terzetto discografico per la MCA, rappresentato
da "Ridin' High", "It's a Good Night for Singin'" e "A
Man Must Carry On", è quello più fortunato e No Leavin' Texas
ne tiene conto, saccheggiando tra perle quali la sboccata Pissin' in The Wind,
Pick Up the Tempo (brano di Willie Nelson),
ma soprattutto le dimenticate It's A Good Night For
Singin', Leavin Texas e Don't It Make You Wanna Dance?,
che mostrano anche l'elaborazione di uno stile dove country rock e influssi caraibici
(non lontani dalle intuizioni di Jimmy Buffett), western swing e blues si intrecciano
in una sintesi perfetta. Il passaggio alla Warner con la pubblicazione di "Jerry
Jeff" segna anche la fine di questo picco creativo, seppure la natura antologica
di questa operazione della Raven riesca a cogliere le eccellenze e i tesori nascosti
di un artista in fase di involuzione. Quello che sorprende in questo periodo è
ormai la trasformazione di Walker da songwriter in vero e proprio interprete,
ragione dovuta forse ad un appannamento creativo, ma anche foriera di scelte impeccabili,
come quella di modificare The Heart of Saturday Night di Tom Waits da ballata
notturna e indolente in un vivace roots rock.
Gli autori di riferimento
restano ancora i texani, dall'allora emergente Rodney Crowell di
I Ain't Livin' Long Like This al Butch Hancock di Suckin' a Big
Bottle of Gin, anche se il finale della raccolta torna a puntare i riflettori
sulla produzione personale: spicca una nuova versione di Maybe Mexico (apriva
"Reunion", album del 1981), già presente nel suo lontano esordio del
'68: come a dire un cerchio che si chiude dopo quattrodici anni di scorribande
che lo hanno consacrato songwriter e cowboy dall'atteggiamento sempre lontano
dalla seriosità della canzone d'autore, a cui tuttavia ha attinto con spirito
di avventura.