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Del-Lords "The
wild, the innocent & the East Coast shuffle"
Frontier Days // Johnny Comes Marching Home // Based On A True Story
[American
Beat Records 2009]
Erano tutti cowboys. Tutti cowboys giovani, tristi, solitari e ribelli.
Sia quelli del giro californiano del Paisley Underground, sia i meno contorti
e più tradizionalisti vaqueros punk'n'roll del Midwest. Ognuno di essi
proveniva in fondo dalla stessa matrice, quella che aveva visto sfumare
il sogno di una nuova "golden age" del rock'n'roll nelle siringhe abbandonate
nel cesso del CBGB, e ognuno di essi si era affacciato agli anni '80 contando
le defezioni: Patti Smith quasi sparita, Springsteen disicarnato nel grigiore
spettrale delle badlands, Dylan impegnato a dialogare con Gesù, John Lennon
freddato da quattro colpi di pistola sulla 72a strada, i Beach Boys orfani
di Brian e Dennis Wilson addirittura ridotti a farsi pubblicizzare dall'allora
first lady Nancy Reagan. Logico, dunque, e persino rassicurante, che Jason
& The Scorchers, Blasters, Green On Red, Dream Syndicate, Los Lobos etc.
mettessero in scena una propria versione del Mucchio Selvaggio di peckinpahiana
memoria, ciascuno ingaggiando una personale battaglia contro il cinismo,
l'indifferenza, il riflusso, al tempo stesso recuperando la tradizione
e proiettandone un aggiornamento sullo schermo ipocrita del decennio.
Scott "Top Ten" Kempner, chitarrista ritmico del Bronx, era ossessionato
dall'idea di una musica costruita "just for fun", per divertimento, sì,
ma senza scordarsi di prendere il "fun" molto seriamente. Tre accordi,
un mucchio di velocità, un ritornello appiccicoso, muscoli, grinta e buonumore:
queste le direttrici, stabilite ascoltando a ripetizione Dion, Del Shannon
e Chuck Berry, entro cui Kempner intendeva far scorrere il suo costante
omaggio al rock americano di vent'anni prima. I newyorchesi Dictators,
seppur assemblati mescolando personalità assai differenti (tanto che il
bassista Mark Mendoza finirà col mettere in piedi il sanguinolento e in
fondo innocuo hard-glam dei Twisted Sister, mentre l'altro chitarrista
Rob Funichello conoscerà inaspettate fortune commerciali con la pompa
metal dei Manowar), avevano rappresentato il primo tentativo, da parte
di Kempner, di dare vita a un simile manifesto artistico. Nonostante tre
spettacolari album in studio e un live di giovialità irriferibile (s'intitola,
programmaticamente, Fuck 'Em If They Can't Take A Joke, risale
al 1981 ed è stato ristampato 17 anni dopo come New York New York: cercatelo,
ne vale la pena), i Dictators erano rimasti un culto essenzialmente cittadino
e non avevano del tutto soddisfatto il sogno di Kempner, ovverosia la
creazione di un gruppo che meritasse il titolo di Beach Boys della East
Coast.
Il suo wild bunch Kempner lo trova giusto pochi mesi dopo, e si compone
della sei corde di Eric "Roscoe" Ambel (un grande fan dei Dictators
e dei "cugini" Ramones che Kempner aveva visto suonare, rimanendone folgorato,
nei Blackhearts di Joan Jett), del basso dell'italoamericano Manny
"Manuelo" Caiati (anche cantante) e del drumming fiammeggiante di
Frank Funaro (altro paisano, stavolta di Long Island). Tutti insieme
si chiamavano Del-Lords, e per una mezza dozzina di stagioni, dal
1984 dell'esordio Frontier Days al 1990 del crepuscolare, bellissimo e
scandalosamente sottovalutato Lovers Who Wander, misero a soqquadro le
convenzioni del rock'n'roll. Non erano stonesiani come i Del Fuegos né
romanticamente punk come li Hüsker Dü, e a differenza di queste ed altre
formazioni, tutte accomunate (era la prima metà degli '80) dall'ingannevole
etichetta di "nuovo rock", non hanno mai realizzato un vero e proprio
capolavoro. Né un grande disco dal vivo come i Dream Syndicate del Raji's,
sebbene il conciso Howlin' At The Halloween Moon ('89), tra cover
dei Flamin' Groovies (Jumpin' In The Night) e una rilettura alla dinamite
della Tallahssee Lassie di Freddie Cannon (al secolo Federico Picariello),
mettesse in mostra un'encomiabile energia. E tuttavia, nel suo complesso,
l'indole enciclopedica del gruppo, il suo peregrinare tra una citazione
e l'altra in un tripudio festoso e virile di rimandi ora folk ora beat,
ora surf ora rockabilly, ha saputo affrontare il passare degli anni con
disinvoltura sorprendente.
Oggi che la American Beat ha provveduto a ristamparli, con generosa aggiunta
di bonus-tracks, Frontier Days, Johnny Comes Marching
Home e Based On A True Story dimostrano di suonare
ancora una volta spumeggianti e travolgenti come le reccolte di 45 giri
del primo rock'n'roll. E vien voglia di dar ragione a Kempner quando,
nelle note autografe che accompagnano ogni capitolo delle nuove pubblicazioni,
ringrazia dio per essere stato un Del-Lord (così come Joe Di Maggio ringraziava
l'onnipotente per averlo reso uno Yankee, nel senso della squadra di baseball
di New York). Leggetele, le sue note, soprattutto quelle scritte per Johnny,
dove rammenta gli investimenti promozionali all'epoca effettuati su David
Bowie a scapito di tanti altri artisti della scuderia Emi: "Be', noi
siamo la band che la Emi ha messo sotto contratto per due noccioline,
mentre Bowie, che gli costa quanto il pil di una piccola nazione per contratto,
registrazioni e pubblicità, è la Grande Priorità. Solo che, uscito l'album
di Dave (che faceva cagare: Tonight, ricordate?) e raggiunto un livello
di attenzione nullo, questi si trovano un gruppo con 20 volte più stampa
di Bowie. Si grattano la testa. Ci sembra buffo." Un po' di orgoglio
rockista male non fa.
Anche se in pochi si ricordano dei Del-Lords, o dei successivi incarichi
di Kempner (prima turnista per Dion, poi due volte solista, poi di nuovo
al fianco di Handsome Dick Manitoba nei riformati Dictators), quei pochi
saranno sempre disposti a spendere per loro fiumi di parole affettuose
e nostalgiche. Maggior fortuna ha riscosso Eric Ambel, noto non tanto
per una coppia indimenticabile di album da titolare (Roscoe's Gang ['88]
e il devastante Loud & Lonesome ['95], con Kevin Salem, Dan Baird, Andy
York e Dan Zanes di mezzo) quanto per le numerose collaborazioni con Steve
Earle, Nils Lofgren, Blue Mountain e altri. Soprattutto, i Del-Lords
resteranno testimonianza irripetibile di un'epoca in cui erano sufficienti
anche solo un po' di genuina passione e una conoscenza sterminata della
storia del rock per riuscire a formulare qualcosa di nuovo, di fresco,
di vivace. Ritornare su di loro significa sgranare di nuovo i fotogrammi
di una stagione in cui ogni scoperta era un poema, ogni canzone una dichiarazione
d'intenti. Per chi cantava, certo, ma pure per chi scriveva. Tanto che
il vero decano della critica rock in italia, il buon Mauro Zambellini
(altro che Bertoncelli!), proprio sezionando Based On A True Story dalle
colonne del Mucchio Selvaggio (a proposito) se ne usci con uno dei suoi
one-liners più belli e fulminanti, che qui riporto (scusandomi per il
saccheggio) poiché consapevole di non poter essere più stringato o fulminante:
"Serie B, ma col coltello tra i denti."
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Le ristampe
(a
cura di Gianfranco Callieri)
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Frontier
Days [Enigma, 1984 / American
Beat, 2009]
Si parte col botto, grazie a una scalpitante rilettura rockabilly del traditional
How Can A Poor Man Stand Such Times And Live di
cui si ricorderà molto bene un certo Bruce Springsteen, e si prosegue attraverso
un luccicante catalogo di corse, omaggi, citazioni, efferverscenze e piccoli affreschi
di sentimentalismo proletario. Eric Ambel prende a Johnny Rivers il riff bluesato
di Mercenary, Scott Kempner evoca i Byrds
nel jingle-jangle di Shame On You, Frank Funaro
strapazza il controtempo honky-tonk dell'aggressiva Livin'
On Love, il basso di Manny Caiati graffia la dolce scorza rootsy d'una
Feel Like Going Home memore del country-rock
gonfio d'attese di Gram Parsons. Tuttavia, appena si dissolvono in gola le bollicine
di filologia spicciola, ecco spuntare tutta l'amarezza del nobile populismo di
Kempner e la profondità delle sue radiografie blue-collar: la nostalgia per l'America
degli anni '50 affoga nelle nefandezze socio-economiche dell'amministrazione targata
Ronald Reagan, facendo affiorare la durezza disincantata di Get
Tough e della travolgente Double Life.
L'iconografia dominante è ancora quella del Marlon Brando motociclista, unita
però al "tiro" di una bar-band che sa ancora sbattere sul pentagramma tutto il
disagio dei common-people della classe operaia con un'energia tradizionalista
che rimanda direttamente ai Creedence. Cinque bonus-tracks divise tra
inediti, versioni alternative e prime trascrizioni di quanto diverrà più corposo
in seguito. Heaven e
Love On Fire riappariranno nel giro di pochi mesi l'una, di qualche
anno l'altra, ed entrambe sapranno meglio convincere, ma il beat indiavolato di
Wastin' Time Talkin' e il poderoso heartland-rock
di Love Among The Ruins sono comunque Del-Lords
al 100%. Bonus-Tracks: Wastin' Time Talkin' // Love Among The Ruins
// Shame On You // Love On Fire // Heaven 
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Johnny
Comes Marching Home [Enigma,
1986 / American Beat, 2009]
Arriva il produttore Neil
Geraldo,
già chitarrista e marito di Pat Benatar (che provvede a regalare qualche coro),
e con lui - dice Kempner - il tentativo di creare "pocket symphonies" alla Phil
Spector. Un modo elegante per affermare che, in effetti, pur contando su di una
vitalità ancor più pronunciata e su canzoni ancor più mature, Johnny
Comes Marching Home
soffre un po' del big drum sound tipico dei giorni in cui esce. Poco male, se
le composizioni di Kempner continuano a pulsare della freschezza beatlesiana in
salsa folkie di Against My Will, del trasporto
gospel di una Soldier's Home (con la voce
di Rose Stone, direttamente dall'omonima famiglia di Sly), della scombussolante
verve rockinrollista di Everlovin'.
Dream Come True è un pezzo dal deciso sapore anni '80, ok, ma Ambel
sa infiorettarlo con un assolo torcibudella, mentre il drumming di Funaro sconquassa
come ai tempi belli di Keith Moon. Insomma, per uno strano paradosso, il gruppo
è più cattivo e affilato di prima, e nondimeno suona leggermente imbrigliato (anche
se di fronte alle diavolerie rockabilly di No Waitress
No More non c'è proprio nessuna critica da muovere).
St. Jake, che sembra un brano dei Mott The Hoople, è dedicata al
dj newyorchese Jake Spector, lo strumentale Drug Deal
lambisce il fuzz da bettola di Link Wray, e tutto il disco vibra di una coscienza
sociale che avrebbe dovuto perlomeno garantirgli la stessa considerazione riservata
ai coevi lavori di Springsteen, Petty e Mellencamp. Come bonus, due ruvidissime
versioni di St. Jake e True Love, forse persino migliori degli originali, e tre
inediti di vaglia, con il cantato nasale di Manny Caiati sugli scudi: Some
Summer insegue le melodie di Brian Wilson piegandone il battito all'intemperanza
ritmica degli Stray Cats, Obsessed With Mary
è una grande ballata roots'n'roll che non avrebbe sfigurato su un disco dei True
Believers. A cantare su Mickey Paid For What Mickey Done
è invece Funaro, impegnato a dipingere un western urbano derivato da Lou Reed
e Jim Carroll. Bonus-Tracks: Some Summer // Obsessed With Mary // Mickey
Paid For What Mickey Done // St. Jake // True Love 
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Based
On A True Story [Emi America,
1988 / American Beat, 2009]
Per chi ama il classic-rock
e l'enfasi metropolitana dello Springsteen di Darkness, magari tagliata con una
buona dose di boogie, il punto più alto della carriera del gruppo. Ormai perfettamente
sintonizzati sulle idee di Geraldo, i Lords s'inventano un'epica stradaiola fatta
di suoni martellanti, pennate hard, chitarre serramanico, rasoiate southern, impennate
garagiste e folk-rock anfetaminico. Based
On A True Story,
uno dei pochi fiori all'occhiello del mainstream anni '80, è un album che sprizza
gioia di vivere, cameratismo e fede nel rock'n'roll da ogni nota. Qui e là, tra
le pieghe delle canzoni, affiorano i nomi di Pat Benatar, Mojo Nixon, Lenny Castro,
Kim Shattuck e Syd Straw, ma il disco è tutta farina del sacco dei Lords, il loro
personale, impareggiabile omaggio allo skyline del Bronx e a una vita consumata
per e dentro il r'n'r. Ascoltate una Judas Kiss
che mescola i Byrds e i Georgia Satellites, il tonante swamp-rock infuso di gospel
di River Of Justice, il rock'n'folk luminosissimo
di Cheyenne o le furibonde accelerazioni alla
Mc5 di The Cool And The Crazy e ditemi se
non vi scappa la voglia di rivalutare il decennio che le ha partorite. Complimento
migliore non so immaginare. Sempre
cinque le bonus-tracks. Una River Of Justice senza ospiti (in quella ufficiale
suonano in dieci o dodici), una A Lover's Prayer in tutta sincerità piuttosto
inutile (in pratica manca solo la slide), la Livin'
With Her, Livin' Without Her che Kempner riutilizzerà per il debutto
solista (cambiando il titolo in Livin' With Her, Livin' With Me), una Cheyenne
appena più spartana e l'inedita, nonché deliziosa, Valleri, dove i nostri, guidati
dalla voce di Caiati, si divertono a inscenare un omaggio all'amato doo-wop di
gioventù. Bonus-Tracks: River Of Justice // Valleri // Lover's Prayer
// Livin' With Her, Livin' Without Her // Cheyenne |