Condividi
 

 

Gary Moore
The Sanctuary Years
1999 - 2004

[Bmg 2023 - Box set 4Cd+Blue Ray]

Sulla rete: gary-moore.com

File Under: irish rock-blues


di Paolo Baiotti (21/06/2023)

Alla fine degli anni Novanta la carriera musicale di Gary Moore è in una fase di stanca. La spinta creativa e il successo superiore alle attese del periodo iniziato nel 1990 con l’eccellente Still Got The Blues, ritorno al blues delle origini dopo l’hard rock del decennip precedente rappresentato da dischi come Run For Cover e Wild Frontier, sembra esaurita con Blues For Greeny, il pregevole tributo al suo mentore e amico Peter Green del ’95, accolto senza grande entusiasmo dal pubblico. Con il successivo Dark Days In Paradise il chitarrista di Belfast svolta nuovamente alla ricerca di un suono più contemporaneo tra rock ed elettronica con nuovi collaboratori, ottenendo giudizi contrastanti e chiudendo in questo modo il contratto con la Virgin.

Gary si accorda con la Castle/Sanctuary e pubblica A Different Beat, dodicesimo album solista in studio, che inizia il periodo oggetto di questo nuovo box che racchiude in quattro cd i dischi realizzati per la label in sei anni, con l’aggiunta di qualche bonus track non particolarmente rilevante, di un Blu-Ray con interviste e un mix diverso, memorabilia e accurate note biografiche di Dave Everley. Prodotto con Ian Taylor e parzialmente mixato dal gruppo drums and bass E-Z Rollers, A Different Beat cerca di mischiare hard rock e blues con il pop e la dance, chitarra e ritmi elettronici, loop e campionamenti, con risultati discutibili. Un esperimento coraggioso non apprezzato dal pubblico, nel quale si distinguono la ritmata Lost In Your Love in cui voce e chitarra emergono su una ritmica elettronica, il soft-rock Surrender allungato all’eccesso, ma con un assolo pregevole, mentre tracce come l’opener Lost In Your Love, la banale Worry No More, il blues elettronico Bring My Baby Back e House Full of Blues si potevano evitare. Per non parlare di Can’t Help Myself, presente addirittura in due versioni e di Fatboy, omaggio a Fatboy Slim. L’unica cover è una ripresa breve e incisiva di Fire di Jimi Hendrix.

Visto il fallimento dei due dischi sperimentali, Gary torna all’ovile con Back To The Blues del 2001, registrato con Vic Martin (Eurythmics, Bee Gees) alle tastiere, Pete Rees al basso e Darrin Mooney (Primal Scream) alla batteria. Il cambiamento è evidente dall’apertura paludosa di Enough Of The Blues; quattro covers tra le quali You Upset Me Baby di B.B. King rivitalizzata da una sezione fiati e un’incisiva Stormy Monday si alternano a sei tracce autografe discrete, ma derivative sia rispetto ai blues storici che alla precedente produzione di Moore. Esempi classici la melodica Picture Of The Moon, una sorta di riscrittura di Still Got The Blues mischiata con Parisienne Walkways, e The Prophet, un malinconico strumentale che sembra uscito dalla penna di Roy Buchanan. Tuttavia non mancano vigore e solidità e il disco scorre veloce, anche se non riesce a catturare l’attenzione del decennio precedente. Tra le bonus tracks spiccano due versioni dal vivo di Cold Black Night e Stormy Monday.

Nel 2002 Moore forma un trio chiamato Scars con il quale incide l’omonimo album in compagnia del confermato Darrin Mooney e del bassista Cass Lewis (Skunk Anansie). L’intenzione è di spostarsi verso un rock energico ispirato da Hendrix e dai Cream (un po’ come il trio di breve durata BBM com Bruce e Baker) venato di blues e con qualche inserimento elettronico. Questo approccio è lampante nel suono distorto della chitarra nella ruvida apertura di When The Sun Goes Down, in World Of Confusion, hendrixiana fino al midollo, nell’aspro e ispido blues Ball And Chain con un break strumentale indiavolato e in My Baby. Scars è un disco vitale, pieno di grinta, di entusiasmo e di assoli a tratti esplosivi che regge discretamente nonostante eccessive dosi di testosterone e il livello modesto di tracce come Rectify, Stand Up e Wasn’t Born In Chicago, salvata dalla chitarra. Non mancano un paio di sobrie ballate, la dolente Just Can’t Let You Go e la notturna Who Knows.

Parzialmente deluso dai risultati e dai riscontri del progetto Scars, Moore decide di tornare nuovamente al blues confermando Mooney, affiancato al basso dall’esperto Bob Daisley (Ozzy Osbourne, Black Sabbath, Rainbow, Uriah Heep), vecchio amico e collaboratore negli anni Ottanta e Novanta e da Jim Watson alle tastiere. Power Of The Blues, che chiude il box, è un album serrato, potente e intenso, anche se non si può considerare un’aggiunta essenziale alla sua discografia. Ma Gary suona convinto ed entusiasta in tracce come Power Of The Blues, There’s A Hole e le ballate That’s Why I Play The Blues e Torn Inside. Anche le cover di Memory Pain (Percy Mayfield), I Can’t Quit You Baby ed Evil (Willie Dixon) sono affrontate con calore e mordente, pur ricalcando interpretazioni altrui, specialmente la seconda che non si differenzia da quella dei Led Zeppelin. Passato alla Eagle Records, l’artista incide ancora tre album in studio di blues-rock, l’ultimo è Bad For You Baby del 2008, oltre a un Live At Montreux 2010 che lo riporta all’hard rock degli anni Ottanta, prima di morire per un infarto il 6 febbraio del 2011 a Estepona in Spagna
.


    



<Credits>