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Cosa
si può ragionevolmente aggiungere, senza che suoni ridondante, pleonastico
o semplicemente banale, al fiume di inchiostro (di byte, più che altro)
che è stato copiosamente speso sull’evanescente enigma chiamato Jeff
Mangum e sul suo magnum opus (“Mangum” opus?) In the Aeroplane Over
the Sea? Domanda retorica, quindi mi taccio. Anche perché oggetto
di queste righe è in realtà il primo disco ufficiale uscito sotto la
sigla Neutral Milk Hotel, il fratello sfortunato, l’opera destinata
a splendere di luce riflessa o, au contraire, a deperire nel cono d’ombra
proiettato dall’ingombrante successore. Aeroplane è il capolavoro intoccabile,
IL disco feticcio per quella generazione che, negli anni a cavallo degli
ultimi due secoli, andava sostituendo il passaparola tra amici con le
chat in rete e le registrazioni domestiche su nastro con gli mp3 e il
filesharing. Il celebre stereotipo appiccicato al primo disco dei Velvet
Underground può valere anche per quell’improbabile concept album su
Anna Frank, partorito in un lucido delirio da Mangum con produzione
lo-fi ma attitudine larger than life: non importa quante copie
abbia venduto, chiunque lo abbia ascoltato (diciamo meglio: qualunque
adolescente l’abbia ascoltato) ha preso in mano una chitarra e ha cercato
di replicarne la debordante urgenza espressiva nella propria cameretta
o nel garage di papà. Registrato
con la complicità dell’amico d’infanzia Robert Schneider (Apples
in Stereo) e di un manipolo di altri sodali, il disco va inquadrato
nel contesto dell’Elephant Six, collettivo musicale disperso tra Athens
e Denver che aveva già prodotto opere memorabili (a firma dei già citati
Apples in Stereo e degli Olivia Tremor Control) e che lascerà in eredità
filiazioni più o meno fondamentali negli anni a venire (direttamente
con Of Montreal e Beulah, indirettamente nell’influenza che si può percepire
nell’indie rock degli ultimi vent’anni, dagli Arcade Fire ai Tame Impala).
A muovere le acque dell’underground c’era, in quegli anni di fermenti
incontrollati, un desiderio di recuperare una certa psichedelia stralunata
dei Sessanta in un contesto che assorbiva ancora l’eco dell’esplosione
grunge (o più trasversalmente alternative) e vedeva i primi eroi slacker
o lo-fi conquistare il pubblico di Mtv. Ci sono più affinità tra Jeff
Mangum (questo Jeff Mangum, ben inteso) e Beck (o i Flaming Lips, o
i Pavement) di quanto si potrebbe sospettare. Ascoltate per esempio
quell’ode a un’ossessione amorosa che è Naomi,
e diteci se non starebbe bene anche nel repertorio di Stephen Malkmus.
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