Rodriguez Cold Fact [Light
in the Attic/ Good Fellas 2008]
Questo ragazzo messicano, figlio di Maria e Ramon, immigrati messicani
nella Detroit operaia del Dopoguerra, appartiene di diritto alla
categoria dei reietti, destinati ad una "sconfitta di culto",
al ruolo scomodo di inafferrabile e misterioso musicista di cui
tramandare le gesta confuse dal tempo. Cold Fact
ritrova infatti un posto al sole grazie a questa curatissima ristampa
della Light in the Attic, che dedica al songwriter di origini
chicane una lodevole confezione cartonata con lunghi essay firmati
da Kevin Howes e Stephen Segerman sulla vita del protagonista,
note interne dei musicisti coinvolti nel progetto e tutti i testi
acclusi. È una vaso di Pandora che regala davvero, senza paura
di sembrare retorici e sin troppo indulgenti, il piacere di una
riscoperta inattesa, fianco a fianco con una manciata di ballate
stralunate, naif, un folk rock che si tinge di giocosa psichedelia
e piccole trovate produttive, mai fuori misura rispetto all'essenza
stessa del songwriting di Sixto Rodriguez.
Il quale resta un folksinger impacciato e dall'anima freak,
così disarmante nell'esposizione della sua musica da apparire
fuori luogo e fuori tempo, capitato veramente per caso sulla scena.
Così si è svolta anche la sua folle, adorabile carriera: un esordio,
Cold Fact, rimasto un oggetto curioso e ignorato, un secondo
capitolo ancora più incompreso (presto ristampato), eppure una
fatomatica, assurda seconda possibilità ricevuta in terra
australiana e poi in Sud Africa, dove l'album, seguendo un passaparola
incessante, diverrà disco di platino. Rodriguez affronterà
negli anni ripetute tournè in quelle terre, riempiendo palazzetti
interi (nelle sortite australiane dei primi anni '80 i suoi concerti
saranno aperti dai Midnight Oil!) e nel frattempo restando un
perfetto sconosciuto in patria.
L'attrazione fatale di Cold Fact risiede sicuramente in
questo strano gioco di destino e successo imprevedibile, ma oggi
che lo si può ascoltare con imparzialità a quarant'anni quasi
dalla sua concezione (fu registrato nel '69 nella stessa Detroit)
andrebbe rimessa al centro la sua portata artistica, niente affatto
marginale. Rodriguez ne esce infatti rinsaldato nel ruolo di folksinger
smarrito fra le turbolenze e le tensioni sociali di quell'epoca:
ruba il talkin' blues a Bob Dylan e lo ribalta secondo una sua
personale visione, la stessa che sembra accomunarlo a personaggi
"fuori sincrono" come Skip Pence o Rocky Erickson. Non
tanto a livello strettamente musicale - seppure vi siano numerosi
punti di contatto nella frenesia psichedelica di Only
Good for Conversation e nella magia di Hate
Street Dialogue - quanto nell'atteggiamento stesso
di mostarsi ricettivo e travolto dai cambiamenti di un preciso
momento storico.
Da qui nasce un
piccolo manifesto quale Sugar Man,
canzone simbolo di Rodriguez che corteggia l'immaginario psichedelico
della controcultura e delle droghe, inventandosi una dolcissima
ballata acustica "disturbata" da fischi e "buone vibrazioni".
Fautori di questi arrangiamenti che lambiscono la Detroit funk
della contemporanea Motown per affiancarla alle bizzarre fondamenta
folkie di Sixto Rodriguez sono il leggendario Dennis Coffey
(chitarrista, talent scout e collaboratore storico dell'etichetta
regina della black music) e il produttore Mike Theodore
(qui arrangiatore della parti orchestrali e della sezione fiati):
dall'idea di catturare le canzoni di Rodriguez in solitaria (troppo
timido, suonava spesso di spalle sia in studio che in pubblico)
e poi costruirvi intorno un suono risulta un disco per nulla posticcio:
la fantasia soul della splendida Crucify
Your Mind, il Dylan ripassato fra lisergiche caramelle
folk rock in Inner City Blues
(nulla a che fare con marvin gaye, anche se...), Establishment
Blues e Rich Folks Hoax,
la straniante filastrocca di Gommorah
(A Nursery Rhyme), l'incantevole tocco dei fiati in
Forget It. Storie come quella
di Sixto Rodriguez rappresentano immancabilmente l'essenza
stessa di quell'avventura che ci ostiniamo a chiamare rock'n'roll,
che non è fatta solo di stelle, prime donne, grandi affreschi
e poderosi colossal, si sarà capito ormai, piuttosto di una immensa
marea di outsider, cani sciolti, sfortunati avventori.
Cold Fact sarebbe potuto diventare un classico di quegli anni
"confusi" ed eccitanti a cavallo della rivoluzione magica
del flower power, ne possiede la stessa ingenuità e freschezza.
Così non è stato, ma si sa che gli oggetti di culto
riescono a volte a diventare più immortali di qualsiasi
classico riconosciuto: è la legge oscura del rock'n'roll. (Fabio Cerbone)