The Rolling Stones
Some Girls
[Hip-O Select / A&M  Box Set 2011]

Some Girls - Live In Texas '78
[Eagle Rock, Dvd+Cd 2011]

www.rollingstones.com

di Gianfranco Callieri (03/01/2012)

Erano gli anni dell'esplosione punk, impiombata nelle parole sferzanti dei Clash di 1977 ("Niente Elvis, Beatles o Rolling Stones / Nel 1977"), rispetto alle quali ci si chiedeva come avrebbero potuto replicare gli unici interessati ancora in attività (o, se è per questo, ancora vivi). Some Girls, insomma, era un album atteso: doveva stabilire se gli Stones esistevano ancora o se si erano dissolti nei ricordi di un passato mitico e irrecuperabile. Assemblato al Pathé-Marconi Studio di Parigi tra l'ottobre e il dicembre del 1977 (con l'aggiunta di qualche overdub nel marzo dell'anno successivo), Some Girls, subito dopo l'appena superiore Tattoo You (1981), è il più grande album dei Rolling Stones consequenti al capolavoro Exile On Main St. ('72), una sequenza micidiale di canzoni pressoché perfette in cui la tipica allure stonesiana di vizio, ambiguità, sconsiderata decadenza e fiammate r'n'r viene evocata tramite sonorità inedite e beffardi ammiccamenti al passato. Se Jagger, da un lato, dopo gli esperimenti afrocaraibici tra funk e reggae dell'irrisolto ma comunque notevole Black And Blue ('76), recupera una tagliente essenzialità esecutiva costruendo il progetto intorno al nucleo primario del gruppo (chitarre, basso e batteria), dall'altro va a cercare ispirazione nei club newyorchesi come lo Studio 54 e gli altri santuari della nascente disco-music.

Naturalmente gli integralisti gridano allo scandalo, tanto che ancora oggi il crossover tra rock e disco di Miss You (pezzo gigantesco, va da sé) fa arricciare più di un naso, ma Some Girls è pura quintessenza Stones: solo, con il dedalo delle avenues di New York in luogo delle strade inglesi, con il soul setoso (e opportunamente stravolto) di casa Motown al posto del blues arcaico, con il dinamismo ritmico dei latinos di East Harlem a sostituire, nello srotolarsi delle ballate, il bagaglio del folk e del country. L'unico brano in tutto e per tutto riconducibile agli Stones più rootsy, Far Away Eyes, non a caso collocata verso la metà del programma, spunta tra le schegge punk di Lies e Respectable come un miraggio, un'allucinazione o una parodia: in mezzo a due fucilate composte di riff assassini e tumulti inarrestabili della sezione ritmica, ecco la pedal-steel di Ronnie Wood, il buffo trascinarsi di basso e batteria, un'andatura che strizza l'occhio a Buck Owens e il delirante resoconto di Jagger sull'esperienza di ritrovarsi a guidare in California ascoltando predicatori pentecostali intenti a promettere la salvezza dell'anima previo versamento di dieci dollari.

Il cuore dell'album, tuttavia, batte all'unisono con la cassa in 4 (Charlie Watts all'inseguimento del Philly-sound) di Miss You, attraversata dagli assoli scartavetrati di Richards, dal sax nervoso di Mel Collins e dall'armonica di Sugar Blue (già collaboratore di Memphis Slim e Louisiana Red: leggenda vuole gli Stones lo trovassero, lacero e mendicante, nella metropolitana di Parigi): ouverture formidabile per un viaggio al termine della notte newyorchese in compagnia di alienati, travestiti, papponi, puttane, sodomiti flamboyant tutti convergenti al Loop, l'area di meretricio gay sulla East 53rd poi immortalata da William Friedkin nelle immagini elettriche di Cruising. When The Whip Comes Down, scossone rockinrollista secco e bruciante appunto come una frustata, scende negli inferni stradaioli di Lou Reed ricorrendo alla soggettiva di un netturbino gay ("Ero gay a New York / che significa frocio a Los Angeles / vengo trattato dappertutto allo stesso modo"), mentre la brusca cover di Just My Imagination (Running Away With Me) dei Tempations, qui semplicemente Imagination, scaraventa la delicata poetica soul del gruppo tra le mura dei bassifondi, in un tempo impazzito di chitarre selvagge. Prima della conclusione indiavolata di Shattered, altro manifesto di irruenza punk'n'roll, c'è spazio per il rockaccio sgangherato e straccione di Before They Make Me Run (cantata da Richards in un rifferama twangy che riporta ai tempi gloriosi di Exile) e, soprattutto, per la stupenda power-ballad Beast Of Burden, intreccio elettroacustico sopra una sezione ritmica dilatata di chiara impronta errebì, una specie di Al Green in slow-motion sigillato da un solo perfetto di Wood e da un groove tanto rilassato quanto irresistibile.

La carica provocatoria di Some Girls, però, si esprime al meglio nel talkin' di nuovo alla Lou Reed della title-track, due accordi ripetuti a catena (pare la versione originaria durasse 23 minuti!) sopra le schitarrate di Richards e l'aplomb declamatorio di Jagger, intento a mettere in fila una serie di stereotipi misogini sulle ragazze di ogni nazionalità e colore (culminanti nel celeberrimo verso "Le ragazze nere vogliono solo essere scopate tutta la notte / io non ho tutta quell'energia", ma ce n'è anche per inglesi, francesi, cinesi, italiane etc.): il brano mette a soqquadro le radio di America e Inghilterra, la casa distributrice prega di rimuovere i testi dalla busta dell'ellepì (il gruppo rifiuta), il frontman rilascia interviste da kamikaze ("Perché l'album si intitola Some Girls?", "Perché non riusciamo a ricordare tutti i loro fottuti nomi!"), fioccano le denunce per oscenità. Il risultato viene raggiunto: tutti ne parlano.

Nell'edizione speciale immessa sul mercato, uno splendido box con fotografie, poster e 45 giri d'epoca, c'è anche un bellissimo libro rilegato dove, in successione a un saggio di Anthony DeCurtis, viene ripercorsa anche la genesi grafica della copertina del disco, collage dei volti degli Stones adattati alla pubblicità di un parrucchiere di Chicago in origine riportartante, oltre alle fattezze dei nostri, quelle di cinque attrici hollywoodiane (Lucille Ball, Judy Garland, Raquel Welch, Farrah Fawcett e Marylin Monroe) che subito minacciarono altrettante azioni legali. Nel sontuoso cofanetto trovano spazio anche un dvd (con gli orripilanti video d'epoca di Respectable, Far Away Eyes e Miss You, tre brani dal vivo, pubblicità televisive, un'intervista al Mick Jagger impressionante e mummificato dei giorni nostri e una sua vecchia apparizione al Saturday Night Live, biancovestito e tremendamente British al fianco di un surreale Dan Aykroyd) e un intero cd di inediti, in pratica un album alternativo fatto e finito, a dimostrazione del tipico album "alla Stones" che il gruppo avrebbe potuto licenziare e invece, con una certa accortezza, non pubblicò.

Meno visionario ed esplosivo del Some Girls del '78, il suo gemello affiorato ora (nonostante alcuni brani più volte bootlegati) percorre con sicurezza, in un divertito flusso di boogie, r'n'r e revival cinquantesco, le fonti più profonde dell'ispirazione stonesiana, stavolta ricondotta al linguaggio basilare del rock-blues più crudo, del rockabilly, del country e della ballata ricoperta di polvere e ricordi. Magnifica è l'anfetamina r'n'r di Claudine, addirittura amplificata nello squarcio alla Chuck Berry di una Tallhassee Lassie (riff devastante appartenuto al rocker Freddy Cannon nell'estate del '59) dove appaiono perfino gli handclaps di John Fogerty (e infatti il pezzo è sudato, rootsy, rockista e operaio come i migliori Creedence) e nel mid-tempo roccioso di I Love You Too Much. L'irruvidirsi dell'anima blues porta al classico Chicago-style della sfrigolante When You're Gone (con Sugar Blue pronto a scodellare virtuosismi da campione del blues urbano), all'incandescenza chitarristica della rutilante So Young (davvero superba) e alle unghiate elettriche di una Keep Up Blues circonfusa di zolfo (per contro la conclusiva Petrol Blues, piccolo slot al pianoforte del solo Jagger, assorbito in un'imitazione affettuosa di Pinetop Smith, è poco più di un congedo breve e scanzonato).

C'è anche parecchio country, tra questi solchi: You Win Again, splendidamente nostalgica (tanto da lasciare la curiosità per un Mick Jagger, qui a dir poco magnifico, alle prese con un repertorio di stretta osservanza country & western), riparte addirittura da Hank Williams, la pedal-steel squillante (Wood) di Do You Think I Really Care? torna a omaggiare il country-rock dell'amico Gram Parsons e il capolavoro No Spare Parts (con Richards al piano acustico), mid-tempo malinconico e ruffiano come solo gli Stones sanno essere. Don't Be A Stranger è invece uno shuffle a dir poco sorprendente, chitarre acustiche e marimbas (Bill Wyman) per un soffio di musica tra Cuba e il barrio di Los Angeles; We Had It All, gran pezzo country-soul di Troy Seals e Donnie Fritts portato al successo da Waylon Jennings, viene cantata da un'impagabile Keith Richards guardando all'Elvis Presley di Always On My Mind. Sebbene l'abitudine di intervenire a posteriori su materiali stagionati (non si spiegano altrimenti, se non con un prodigio anagrafico gli interventi di Don Was e Matt Fraction) resti di per sé deprecabile, la panoramica offerta dalla nuova edizione di Some Girls, con l'ampiezza dei suoi riferimenti e delle sue vedute, da quelle d'epoca a quelle portate alla luce soltanto adesso, mette un punto fermo sulla capacità degli Stones targati anni '70 di cavalcare lo spirito del tempo e risultare sempre e comunque originali, inventivi e di rottura.

Su tale punto, poi, cala, grazie al dvd Some Girls - Live In Texas '78, un velo di leggenda. Non c'è punkster che tenga di fronte alla mannaia rockista calata da questi otto cavalieri dell'apocalisse (oltre ai cinque Stones ufficiali, Doug Kershaw al violino, McLagan alle tastiere e Stewart al piano) sul pubblico del Will Rogers Auditorium di Fort Worth la sera del 18 luglio 1978. Richards si era appena disintossicato ma a giudicare dalle immagini sembra nel pieno di una tossicodipendenza da rock'n'roll secco, brutale e punk (osservatelo sventrare la Tele su una Starfucker a rotta di collo). Si tratta di un concerto affilato e viscerale, un'ora e mezzo di sberle senza nessuna concessione all'improvvisazione e due sole parentesi di raccoglimento, una voluttuosa Beast Of Burden prima di affondare il coltello delle paranoie metropolitane negli otto minuti e rotti di una sanguinaria Miss You e il countreggiare sarcastico di Far Away Eyes (poco apprezzato, nel suo irridere la religione, dai devoti convenuti texani) per rigenerare le batterie e sprofondare nel lercio, sconquassante country-blues di Love In Vain. Il set è un fuoco d'artificio costante, introdotto dai botti di una Let It Rock, doppiata verso il finale da un'altrettanto selvaggia Sweet Little Sixteen, dove il r'n'r primordiale di Chuck Berry viene centrifugato dai nostri, con velocità da manicomio, al blue-eyed punk detroitiano del primo Bob Seger.

Scatenati, rozzi e ubriachi di radici e r'n'r suonano anche i brani di Exile, dalle assordanti All Down The Line e Tumbling Dice fino a una Happy in cui Richards (seguito a fatica dallo stesso Sir Mick nei chorus) sembra spezzarsi le corde vocali a ogni strofa. Inutile parlare di qualità delle immagini (evitate, quindi, il formato blu-ray) di fronte a una pellicola 16 mm riversata alla meno peggio, ma credetemi, più delle specifiche tecniche contano le rasoiate della band, le bastonate di Brown Sugar e Jumpin' Jack Flash (due versioni tanto stringate quanto distruttive), il country sfigurato di una Honky Tonk Woman da bettola in preda al fracasso, l'incredibile sequenza dei brani di Some Girls, con la fanghiglia funky di Imagination, i boati schizofrenici di When The Whip Comes Down e i sussulti d'adrenalina di Shattered e Respectable. Some Girls - Live In Texas '78 non sarà un manuale di buone maniere, tutt'altro, ma dimostra ancora una volta che quella degli Stones definitivamente bolliti dopo l'uscita di Exile è soltanto una leggenda metropolitana. L'altra leggenda, quella vera, è scolpita nei suoni di Some Girls, il cofanetto, e nelle immagini dello speculare dvd: racconta la storia della r'n'r band definitiva in un'apoteosi di frenesia e turbolenza. Il loro regno, nel 1978, non era contendibile.


 

    

 


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