Nikki Sudden
Dark Rags At Dawn
[Numero Group 2014, 7LP + 7"]


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File Under: The rocker who fell out of the sky


di Gianfranco Callieri (01/06/2015)

Rochettaro inguaribile, protagonista della prima new-wave britannica, appassionato cultore di tanti musicisti (su tutti l'adorato Jerry Lee Lewis) ai quali ha dedicato centinaia di articoli sparsi una miriade di riviste e fanzine, specialista di arredamenti e architetture vittoriane, persino compositore per il cinema (nel 2004 scrisse la colonna sonora di Honey Baby, surreale rivisitazione on the road del mito di Orfeo e Euridice diretta dal finlandese Mika Kaurismäki, fratello maggiore del più famoso Aki), Nikki Sudden, a quasi dieci anni dalla prematura scomparsa (causata da un fatale infarto occorso in quel di Brooklyn, col nostro neppure cinquantenne), sembra essere ancora immune alla smania di catalogare ossessivamente ogni percorso artistico riconducibile alle epoche precedenti, con finalità com'è ovvio speculative, così tipica del nostro tempo. Per fortuna, verrebbe da dire, perché significa che la sua a dir poco erratica produzione, disseminata lungo album da titolare, collaborazioni, allegati, singoli e dischi dal vivo, pur nelle innegabili oscillazioni tra prelibatezze e fallimenti (del resto inevitabili all'interno di una raccolta di opere talmente vasta e frammentaria), continua a beneficiare del piacere spontaneo della discontinuità e se vogliamo anche dell'incoerenza, due elementi ormai trasformatisi, visto il periodo di conformismi di ritorno, in altrettanti valori aggiunti.

Certo, il lavoro di Sudden, al secolo Adrian Nicholas Godfrey, non è significativo in quanto incostante (ci mancherebbe altro), ma è utile rilevare come gli sconclusionati percorsi della sua discografia conservassero una forma di identità (e, per paradosso, di concordanza) in qualche modo del tutto logica, e proprio per questo talvolta toccante nella sua immediatezza, espressiva nella sua trasandata confusione, rispetto ai gusti e alle passioni di un londinese degli anni '60, cresciuto nel culto delle periferie e delle strade dell'America più marginale, perdutamente innamorato del glam di Marc Bolan, del rock-blues scartavetrato dei Rolling Stones, del folk-rock visionario di Neil Young e Bob Dylan, della purezza del r'n'r delle origini e della rilettura punk offertane da colleghi quali Johnny Thunders e Stiv Bators.

Nel 2013, a provare a mettere un po' d'ordine negli archivi dell'artista ci aveva provato la Easy Action, confezionando il sestuplo box antologico The Boy From Nowhere, Who Fell Out Of The Sky, rivolto soprattutto, data la preponderante presenza di inediti e rarità, a chi del suo titolare avesse posseduto una conoscenza già abbastanza estesa. Dallo scorso anno, invece, la pratica delle ristampe è passata in mano alla chicagoana Numero Group, fondata da ex-soci della RykoDisc, che ha di nuovo immesso sul mercato, in formato a 33 giri, tutti e sette gli album confezionati da Sudden negli anni '80. Quegli stessi dischi, con l'aggiunta di un sette pollici contenente la riproduzione del primissimo 45 giri solista (Back To The Start / Ringing On My Train, targato appunto 1980), sono stati oggi radunati nel cofanetto in vinile Dark Rags At Dawn, oggetto nemmeno troppo costoso anche se di sicuro per pochi, uno di quei collector's item che - c'è da scommetterci - avrebbero incontrato la simpatia di Sudden medesimo, a ogni tappa dei suoi carbonari tour indaffaratissimo nel mettersi in contatto con amatori di ogni genere allo scopo di contrattare sull'acquisto di curiosità, stampe rare o edizioni alternative degli amati eroi del suo firmamento rock'n'roll.

Di fatto, allineando i suddetti album, Dark Rags At Dawn dice tutto quel che c'è da sapere sulla parte migliore della carriera di Nikki Sudden, quella posteriore allo scioglimento degli Swell Maps e antecedente l'ancor più dispersiva fase dei '90, inaugurata all'incirca dal prevedibile Groove (nel 1989 accreditato a "Nikki Sudden & The French Revolution", ma mancherebbe all'appello l'altresì ottimo Crown Of Thorns, dato alle stampe nel 1988 dall'italiana Crazy Mannequin Records e comprensivo di belle rivisitazioni dal repertorio di Stones e T.Rex) e forse fin troppo (auto)indulgente nel riproporre fino alla nausea l'immagine da cantautore rockista e maudit in precedenza vissuta dal nostro con ben altra genuinità. Chiusa l'esperienza degli Swell Maps, responsabili di due tra i lavori - A Trip To Marineville (1979) e lo stupendo Jane From Occupied Europe (1980) - più radicali, abrasivi e free di una stagione in cui il punk-rock cedeva il passo alle dissonanti intuizioni della new-wave, il Nikki Sudden di Waiting On Egypt (1982) aveva difatti sfogato tutta la propria inclinazione per il rock-boogie elettrico, sporco e incalzante degli Stones (omaggiati da una cruenta cover della I'd Much Rather Be With The Boys di Metamorphosis) in una serie di tracce caratterizzate da un sassofono punk secondo alcuni ispirato alla Lora Logic degli X-Ray Spex e di volta in volta finalizzate a proporre una personale, frastornante parafrasi di blues (Knife In My Heart, Back To The Coast), garage (New York, Stuck On China, Channel Steamer), pop'n'roll anni '50 (Johnny Smiled Slowly, Fashion Cult). Un anno dopo, The Bible Belt (1983) ripeteva più o meno la stessa formula con stile meno claudicante dal punto di vista tecnico e qualche (veniale) difetto di fantasia: se il miagolare di sax in Cathy, la solennità folkie di Chelsea Embankment e l'effervescenza glam di English Girls cercavano di allargare almeno in parte lo spettro delle sonorità attraversate, la parte più significativa del disco risultava ancora consacrata al fracasso punk delle spigolose The Angels Are Calling e Bethlehem Castle o al polveroso mid-tempo di nuovo stonesiano dell'evocativa The Road Of Broken Dreams.

The Bible Belt era stato tuttavia il primo album a segnare la collaborazione con il collega di Birmingham Dave Kusworth, un chitarrista dal gesto molto bluesy e al tempo stesso molto stoogesiano, confermato anche in Jacobites (1984), allorché con l'ingresso in formazione di Epic Soundtracks (ossia il batterista Kevin Paul Godfrey, fratello minore di Sudden, già con lui negli Swell Maps) nacque il gruppo omonimo di "giacobini" del rock più straccione e sfrontato. Pieno di rimandi al r'n'r chitarristico di Mott The Hoople e dei Faces, rispettivamente al centro degli ammiccamenti di Kings And Queens e della deragliante Hurt Me More (con tanto di sanguinario duello di sei corde nel finale), Jacobites era in ogni caso più grezzo e irriflessivo del kinksiano Robespierre's Velvet Basement (1985), sempre intestato ai giacobini sebbene contraddistinto da uno spirito bucolico (Hearts Are Like Flowers, Son Of A French Nobleman) altrimenti inedito. Malgrado non mancassero ganci power-pop (Silken Sheets), nervose bordate alla Lou Reed (She Never Believes) o fiammeggianti intrecci di chitarre (Fortune Of Fame) e sudice prolusioni rock-blues degne dei Glimmer Twins (One More String Of Pearls), il disco anticipava la trasformazione di Sudden in cantastorie rootsy portata a compimento, nello stesso anno, dal bellissimo Texas (1985), se non il migliore dei suoi album solisti perlomeno quello più efficace e incisivo.

Stavolta il riferimento principale diventava il Neil Young di After The Gold Rush, sottinteso nel teporoso folk-rock di Such A Little Girl e Wedding Dress quando non riportato in modo esplicito (Captain Kennedy's Lament è in pratica la Captain Kennedy di Hawks & Doves, a sua volta ispirata alla tradizione old-timey), nonché ibridato col jingle-jangle dei Byrds (Death Is Hanging Over Me), con stralunate inflessioni psichedeliche (Glass Eye), con una galleria di piccole nevrosi metropolitane (Jangle Town, Deppers Bridge). Kiss You Kidnapped Charabanc (1987), cointestato all'australiano Rowland S. Howard (Birthday Party), approfondiva la dimensione folk-rock contaminandola con scampoli di new-wave allucinata: da un lato enumerava le predilezioni di Sudden per un immaginario impiantato sui ricordi dell'Inghilterra coloniale (lo stesso char-à-banc del titolo era un calesse per animali da tiro molto diffuso fino a metà '800), per un primitivo rock'n'roll sconfinante nel punk (Sob Story, Snowplough) e per logorroiche ballate da cugino pezzente di Dylan (Debutante Blues); dall'altro, senza perdere in efficacia, prefigurava (per esempio nelle visioni acide di Feather Beds o Better Blood) le mutazioni blues-noise cui Howard si sarebbe dedicato in seguito, ricorrendo al contributo di Lydia Lunch (recuperate il loro Shotgun Wedding del '91).

Nella medesima stagione, Dead Man Tell No Tales (1987), di nuovo attribuito ai Jacobites, risentiva invece dell'atmosfera acustica e western elaborata da Sudden (nello stesso, iperattivo anno), di nuovo in compagnia di Howard (nonché di Jeffrey Lee Pierce dei Gun Club), per il concept I Knew Buffalo Bill, esordio solista per Jeremy Gluck dei Barracudas, il cui incedere di frontiera (abbastanza cupa e tendente all'astrazione dark) impregnava anche il disco di Sudden, mezz'ora di musica quasi priva di sezione ritmica e nondimeno memorabile nei pressi della pioggia di distorsione di (Girl With The) Wooden Leg, nei 9 minuti psichedelici, desertici e sognanti dell'ultima Kiss At Dawn, nelle diminuite rootsy di When I Cross The Line. Il Nikki Sudden da conoscere, si diceva, è tutto qui, prima della trasformazione in clone di se stesso (ancorché quasi sempre dignitoso).

Da conoscere e, magari, da riscoprire, perché in uno strano contrappasso critico, Sudden è sempre stato guardato con un certo sussiego, come se si trattasse di un personaggio interessante sotto il profilo dei comportamenti ma di un musicista inequivocabilmente mediocre e ripetitivo, un rocker condannato a una sorta di perenne infanzia da amante della musica e perciò incapace di musicare i suoi giocattoli - il folk e il rock and roll - se non in modo puerile e approssimativo. Dark Rags At Dawn, invece, ci ricorda che le sue canzoni, tra nostalgia e arruffato abbandono rockinrollista, hanno ancora tutte le carte in regola per fare parte della nostra vita.




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