The Walkabouts
Devil's Road // Nighttown

[Glitterhouse records  2014]


www.glitterhouse.com

File Under: America noir


di Fabio Cerbone (03/07/2014)

È un piccolo patrimonio della canzone rock americana più inquieta quello che hanno costruito The Walkabouts in trenta lunghi anni di carriera: incredibile storia per longevità e caratura artistica quella di Chris Eckman e Carla Togerson, fondatori della band, che festeggia proprio nel 2014 questo invidiabile anniversario. Era infatti la metà degli anni ottanta a Seattle, epoca preistorica della scena indipendente (non il concetto stiracchiato e un po' vacuo dell'indie rock di oggi), quando il gruppo metteva radici in un suono che guardava tanto all'esperienza del post punk quanto a tutta la tradizione folk americana, firmando di lì a poco un contratto per la Sub Pop. Spunta questo nome e si torna immediatamente all'apoteosi del grunge e di una città assurta a centro del mondo, ma i primi passi dei Walkabouts furono all'insegna di una ostinata autonomia, una strana creatura che anche negli esordi più crudi di Cataract e Scavenger costruiva paziente ambientazioni sonore lontane dal linguaggio dei colleghi di etichetta. Saranno rivelatori gli album della maturità, il passaggio allo scuro rock pastorale di Setting the Woods on Fire (e d'altronde un titolo rubato a Hank Williams non poteva essere altrimenti) e New West Motel, fino alla splendida raccolta di cover intitolata Satisfied Mind, dove dalla Carter Family a Nick Cave, da Charlie Rich a John Cale veniva racchiuso l'intero universo della band: il lato oscuro dell'America, i suoi sogni e gli incubi, i desideri e le speranze tramutati in una musica sontuosa e malinconica al tempo stesso, nera a tratti, ma aperta a sprazzi di luce.

È la storia che raccontano anche Devil's Road e Nighttown, ristampe lussuose di queste settimane che narrano il passaggio all'età adulta (e complicata a livello discografico) dei Walkabouts, colti al bivio più importante per la loro avventura musicale, quando lasciata definitivamente la Sub Pop e passati attraverso le attenzioni della Glitterhouse (l'etichetta tedesca accoglie la formazione, ingiustamente ignorata in patria, con una distribuzione europea), ottengono un contratto per la Virgin e la prima vera possibilità di un'esposizione a livello internazionale. Oggi, ironia della sorte, è la stessa Glitterhouse che si cura di ridare lustro a questi lavori, da tempo fuori catalogo, pubblicandone le classiche versioni deluxe, doppio cd o lp 180g con qualche gustoso, se pur non essenziale, inedito di studio e dal vivo, tutti i testi inclusi e numerose foto ad arricchire l'offerta. Quello che conta tuttavia è rileggere il nucleo di questi lavori, che rappresentano nello stesso momento lo slancio nella direzione della coraggiosa, errabonda seconda parte della loro carriera e il vertice di un lungo percorso artistico, che sposta inesorabilmente il folk rock più livido ed elettrico dei Walkabouts dalle intuizioni iniziali verso la solennità dei nuovi arrangiamenti. È la produzione di Victor Van Vugt, già all'opera con Mick Harvey e Nick Cave, delimitando un paesaggio musicale assai preciso, a spingere la band verso la ballate scure e dense di Devil's Road, album che indovina magicamente l'innesto di un'intera orchestra (la Filarmonica di Varsavia) sulle fondamenta "tradizionali" dei Walkabouts. Ne scaturisce una musica cupa, dalle tinte noir, scarna nelle sue linee guida melodiche, ma piena di piccoli accorgimenti: è da un certo punto di vista l'apice di una visione artistica percorsa con risolutezza per lunghi anni di anonimato, ma anche lo spartiacque che confonderà una parte del loro pubblico, come ammette Eckman nelle note di presentazione.

Il fatto incontestabile però è che ancora oggi la teatrale apertura di The Lights Will Stay On, melodia sixties che è un classico istantaneo, o la strepitosa e sinistra storia di Rebecca Wild siano punti fermi dei loro show, a sancire la centralità di questo album. Il quale mantiene una sorta di equilibrio sull'orlo del precipizio: la bluastra The Stopping-Off Place, insieme alla gemella Fairground Blues, sferzate dall'organo di Glenn Slater, sono un fulmine scagliato dalla stagione post punk californiana del Paisley Underground, così come Cold Eye resta un esempio della minimale atmosfera folk elettrica su cui innesta le sue liriche ossute Chris Eckman, ma i rintocchi di piano e archi in Christmas Valley, il rincorrersi di elettricità e magniloquenza in Blue Head Flame o ancora l'ardente All For This mostrano da un altro lato i segni evidenti degli arrangiamenti curati da Mark Nichols insieme all'orchestra, un'unione riuscita che apre visioni inedite alla musica dei Walkabouts, tra deserto e città, luci artificiali e grandi spazi americani, chiudendo sui languidi tramonti colorati di country di The Leaving Kind e Forgiveness Song. Fra le tracce inedite che ci propone il disco aggiunto - come accennato non strettamente indispensabili - troviamo forse interessante la sola inedita Devil's Road, dal vivo ad Hannover nel 95, più due versioni "ripulite" dagli archi di Christmas Valley e The Leaving Kind e un paio di demo di preparazione alla registrazione ufficiale.

Con precise intenzioni e un investimento robusto da parte della Virgin, Nighttown rappresenta al tempo l'evoluzione naturale del suo predecessore, un disco ambizioso che negli obiettivi dei discografici dovrebbe proiettare la band tra le nex big thing della grande ubricatura rock alternativa di quegli anni e che si rivelerà semmai una forzatura bella e buona. Una pressione che rammenta lo stesso Chris Eckman nelle note interne che accompagnano la ristampa, raccontando di una scrittura in affanno dopo la fine del tour precedente e la stesura dei brani in sole quattro settimane. Chiamato nuovamente l'arrangiatore Mark Nichols a dirigere quella che verrà ribattezzata The Nighttown Orchestra, l'album accentua il ruolo di quest'ultima con uno strato di archi che avvolge buona parte dei brani. Le sensazioni di Eckman e soci sono quelle di rincorrere alcuni loro riferimenti musicali più nobili: Scott Walker, il Townes Van Zandt di Kathleen e di certe ballate avvolte in ricami orchestrali, nonché il John Cale del capolavoro Paris 1919. Il legame è chiarissimo e Nighttown sviluppa infine questo particolare suono fianco a fianco con un ciclo di canzoni che dovrebbero raccontare la città e la sua vita notturna, come una metafora dell'intera nazione e dei suoi desideri più tormentati. Ambizioso e forse irrisolto, ma certamente premonitore delle mosse future del gruppo, l'album è segnato da alcuni innegabili picchi musicali, che ne rendono quasi necessaria la riscoperta: il taglio cinematografico, misterioso di Follow Me an Angel e Unwind, il finale struggente di Nightbirds e l'immancabile fascino della Togerson per adattare alla sua voce (assolutamente espressiva, pur nei limiti dei registri) il languido incedere di alcune ballate, tra cui These Proud Streets. La presenza del violino di Warren Ellis, proprio in un paio di episodi appena citati, avvicina infine i propositi di questi Walkabouts all'opera contemporanea di Nick Cave, così come a quella dei celebrati Tindersticks. Un trait d'union in fondo ribadito dalla presenza delle lunghe suite Slow Red Dawn e Forever Gone.

Corredato anch'esso da un un piccolo corollario di curiose outtake (lo strumentale Sanitorium Blues e quattro tracce demo registrate nell'inverno del 1996), ma soprattutto da alcuni scatti fotografici - strade, lampioni, macchine, grattacieli, sale d'aspetto e telefoni - che ne descrivono bene l'intricato reticolo di suggestioni e l'affascinante progetto, Nighttown chiude un breve ciclo per la band, che riporterà immediatamente i Walkabouts nell'alveo della più coerente indipendenza fino a giorni nostri, mai mancando di infondere seduzione e mistero nella loro musica.

Una delle band centrali eppure più indegnamente ignorate nel rileggere l'eredità folk americana degli ultimi tre decenni.



    



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