Per
Phil Everly (19 gennaio 1939 - 3 gennaio 2014)
Non
c'è immagine di immacolata innocenza nella storia del rock'n'roll che possa pareggiare
quella emanata dalle voci dei fratelli Don e Phil Everly. E non
la si prenda come una contraddizione in termini, per una musica che fin dagli
albori deve essere sinonimo di disordine, ribellione e stravolgimento delle regole.
Non è mai stato un luogo comune il rock'n'roll e lasciamo volentieri ad altri
l'idea superficiale di costringere in un serie di immaginette quella che è stata
e resterà l'anima pulsante della gioventù. Quella americana - quanto meno tra
il 1957 e il 1962 abbondante - ha palpitato insieme agli Everly Brothers,
alle loro armonie vocali appassionate e celestiali, struggenti insofferenze d'amore
adolescenziali che hanno stretto le mani di una generazione e insegnato l'arte
della canzone pop (e ben oltre) ad una intera schiera di musicisti. Banale forse
ricordarlo, sacrosanto però ribadirlo per i sordi e i duri di cuore tutti: senza
Don e Phil quanta parte della British invasion avrebbe fatto marcia indietro,
niente Please Please Me e Beatles a sbriciolare costumi e melodie antiquate
all'Ed Sullivan Show, e niente Simon & Garfunkel a ricamare intorno al folk rock
a venire. Ad essere puntigliosi e lungimiranti, nemmeno la California e il country
rock avrebbero la stessa faccia (gli stessi Everly brothers ci avrebbero appuntato
il loro sigillo con la riscoperta tardiva dell'album Roots, anno 1968):
The Byrds, Roger McGuinn e Gene Clark a prendere lucciole per lanterne, Gram Parsons
a rifarsi il vestito della festa a Nashville e in soffitta una bella fetta di
quelle armonizzazioni che dagli Eagles agli Heartbreakers di Tom Petty sono state
l'effluvio costante dello stile in questione.
Tutto questo perché Don
e Phil erano figli di Ike e Margaret Everly, musicisti itineranti e maestri di
canzoni tradizionali, laggiù nel Kentucky, si sarebbe detto un tempo aprendo un
fumetto della Bonelli. I figli finiranno per omaggiarli nello splendido secondo
album per la Cadence del 1958, Songs Our Daddy Taught Us, quel coagulo
di vecchie armonie country&western che da Gene Autry a Tex Ritter erano il tessuto
di due ragazzi divisi fra polveroso passato americano e una modernità rock pronta
alla deflagrazione. E loro questo hanno esattamente spiattellato in due degli
lp più rappresentativi della stagione d'oro, quella a cavallo tra 50s e 60s e
giocata sul filo di lana tra Cadence e Warner, le due etichette che scriveranno
la loro immortale storia discografica. Melodie country (dietro anche il gospel
sudista dei Louvin Brothers e l'hillbilly di Delmore brothers, altre coppie di
fratelli irrinunciabili), cristalline acque folk e nuove pulsioni rockabilly:
gli Everly Brothers dell'omonimo debutto datato 1957 e quelli dell'altrettanto
indispensabile (e meno noto) It's Everly Time del 1960 per la Warner
sono certamente il "volto pulito" e aggraziato della rivoluzione rock'n'roll,
ma niente affatto quello addomesticato: troppo sincere e incantevoli quelle evoluzioni
vocali per non risultare un atto di bellezza assoluta, privo di qualsiasi falsità.
E poi quale diavolo di docile coppia! Don finirà ad un passo dalla morte per overdose
e entrambi travolti dal demone dell'alcol in quella metà dei Sessanta che li metterà
presto in un cantuccio, al seguito della nuova orda inglese e delle future evoluzioni
psichedeliche. Non è solo questione di faccia, atteggiamento e abito insomma:
The Everly Brothers sono l'anello mancante tra gli ancheggiamenti sensuali della
Sun records e la pubblicazione di Love Me Do (The Beatles) nell'ottobre
del 1962, un caleidoscopio di armonie che trova nella ingenua, spontanea fioritura
del primo rock'n'roll la chiave per esplodere in tutte le sue potenzialità.
Registrati
in buona parte presso gli studi RCA Victor di Nashville sotto la direzione del
produttore e talent scout Archie Bleyer, ma soprattutto guidati dalla mano santa
del chitarrista Chet Atkins (uno dei primi a credere nei fratellini Everly,
portandoli alla corte degli editori Acuff-Rose) e dalla crema dei musicisti country
cittadini (basti solamente il piano immenso di Floyd Cramer) The Everly
Brothers e It's Everly Time raccolgono scampoli di rockabilly
riadattato allo stile fresco e immediatamente pop del duo (sul primo album ci
sono versioni personali di Be Bop a Lula,
Keep a Knockin' e Rip It Up, così come
la This Little Girl of Mine di Ray Charles),
ma soprattutto alcuni eterni classici composti dalla coppia di autori Felice &
Boudleaux Bryant, che si legherà per sempre ai fratelli, nonchè diversi esempi
delle qualità di autori degli stessi Phil e Don, mai semplici interpreti o statuine
nelle mani dei discografici. Nel primo campo cadono le irrinunciabili
Bye Bye Love e Wake Up Little Susie:
la prima uno "scarto" (infelice, con il senno di poi) di Elvis Presley divenuta
oro colato nelle ugole degli Everly, la seconda numero uno nelle charts di Billboard
sia nel settore country sia in quello pop, a dimostrazione della trasversalità
irresistibile della coppia. Entrambe capolavori di equilibrio elettro-acustico
fra tradizione e modernità, antesignane del folk rock e di una naturalezza assoluta
nell'interpretazione di Don e Phil. Tesori celati o forse semplicemente meno decantate
sono invece le autografe Maybe Tomorrow e
Should We Tell Him. Una necessità impellente di indipendenza vhe si farà
ancora più pressante e porterà quindi a It's Everly Time (numero nove nella classifica
di Billboard 1960), allargando le ambizioni musicali del duo, qui impegnati a
graffiare con brandelli di country rock ante litteram (la riedizione di
Memories are Made of This), coinvolgente r&b (Just in case,
Nashville Blues) e la bellezza di sei canzoni
firmate dagli inseparabili Felice & Boudleaux Bryant, seppure nel mucchio svetti
la splendida, agrodolce malinconia di So Sad (To Watch
Good Love Go Bad), dello stesso Don Everly.
La comprensiva
ristampa Hoodoo presa a prestito per questo omaggio aggiunge anche una manciata
di singoli dell'epoca, registrati sempre a Nashville tra il 1958 e il 1960, che
denunciano la costante grazia degli Everly Brothers in quel breve passaggio di
consegne con i Lennon-McCartney a venire: tra le altre la strepitosa Cathy's
Clown, primo singolo per la Warner che si trascina per cinque settimane
al numero uno delle pop charts, la magia dolciastra di All
I Have to Do Is Dream e l'altrettanto fragoroso lato B, una versione
di Claudette a firma Roy orbison.
"Forever Everly"
TRACKLIST: The
Everly Brothers (1957) 1 This Little Girl of Mine // 2 Maybe Tomorrow //
3 Bye-Bye Love // 4 Brand New Heartache // 5 Keep a Knockin' // 6 Be Bop a-Lula
// 7 Rip It Up // 8 I Wonder If I Care // 9 Wake Up Little Susie // 10 Leave My
Woman Alone // 11 Should We Tell Him // 12 Hey Doll Baby
It's Everly
Time (1960) 13 So Sad (To Watch Good Love Go Bad) // 14 Just in Case //
15 Memories Are Made of This // 16 That's What You Do to Me // 17 Sleepless Nights
// 18 What Kind of Girl Are You // 19 Oh, True Love // 20 Carol Jane // 21 Some
Sweet Day // 22 Nashville Blues // 23 You Thrill Me (Through and Through) // 24
I Want You to Know
(Bonus Tracks) 25 Lucille // 26 All I Have to Do
Is Dream // 27 Bird Dog // 28 ('Til) I Kissed You // 29 Cathy's Clown // 30 Like
Strangers // 31 Problems // 32 Claudette